mercoledì 15 dicembre 2010

COLPA E POVERTA'

Mi ha molto colpito, in una recente visita fatta ai colleghi della Caritas di Pordenone, apprendere dell’ennesimo suicidio verificatosi nella zona del Triveneto, legato alla perdita del posto di lavoro. Un uomo di 46 anni, padre di tre figlie, due delle quali molto piccole, si è tolto la vita a seguito della mancata riconferma del contratto da parte dell’azienda presso la quale lavorava. Prima di lui nelle settimane precedenti, e a stretto giro di posta, analoga sorte era toccata ad altri tre operai ed un imprenditore la cui ditta stava fallendo.

Ora, insieme alla drammatica e forse impenetrabile decisione di chi sceglie volontariamente di porre fine da sé alla propria esistenza, mi hanno fatto riflettere alcune considerazioni che gli amici di Pordenone ed i relatori del corso per il quale mi trovavo lì facevano in merito alla cultura e ad un modo di pensare diffuso in Friuli e nel Nord-Est in generale. Su tutte, questo binomio fortissimo e radicato che lega insieme il concetto di onestà con quello di dedizione al lavoro: il friulano onesto è quello che lavora ed in assenza del lavoro, per logica conseguenza, si finisce per essere “disonesti”. In una zona del paese dove fino a poco tempo fa’ la disoccupazione era del tipo che gli economisti definiscono “fisiologica” (3%, ovvero l’attesa del passaggio da un lavoro ad un altro), si capisce quale impatto possa avere la caduta del pilastro occupazionale e la ricaduta sulle persone in termini di immagine interiore ed esteriore. Il giudizio negativo delle teorie locali del senso comune riguardanti i “poveri” (dapprima solo immigrati in larga parte ghanesi ma adesso anche cittadini italiani) si è dunque esteso ad un maggior numero di persone rafforzando questo pensiero per il quale la povertà rischia di trasformarsi in colpa.

In un periodo nel quale le cronache quotidiane ci raccontano dei continui e diffusi episodi di corruzione, non certo tra poveri, e del labile confine che separa questa da fenomeni veri e propri di criminalità organizzata, ritengo ancora più importante raccogliere la sfida della crisi trasformandola anche sul nostro territorio in una opportunità di ripensare la nostra idea di “povertà” e rilanciare il concetto di “bene comune” anche attraverso iniziative concrete e spazi di confronto.

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