
Fermarsi anche per ricordare, per ricordarci, di come andiamo via veloci, di come troppo spesso prevale il bisogno di correre con le attrezzature che ci portiamo dentro ancora prima che appresso. Le nostre cartelle, i nostri file, i nostri link a portata di mano: donna, mamma, depressione, gesti disperati; con sottocartelle-varianti: separata, abbandonata, tradita, madre sola, senza lavoro, disoccupata, benestante, con problemi psichici, senza problemi psichici. I nostri programmi sono in grado di fare incroci, grafici, tabelle, che “sintetizzano i dati” e ce li rimandano schematizzati, anzi clusterizzati. Così abbiamo tutti gli elementi per riprendere la corsa, non stiamo in silenzio ma stiamo, al massimo, in stand-by, pronti a ripartire, a ricevere altre news. Gli attraversamenti, i conti emotivi che non tornano, il bianco insieme al nero, le gioie della maternità con la voracità e le voragini che un’altra vita incorporata alla tua comportano, gli occhi che parlano della gioia infinita offuscata dalla disperazione che sta andando a chiudere la finestra per saturarla di gas, che magari abbiamo incrociato tante volte o riconosciuto guardandoci allo specchio sono flash, lampi che ci squarciano per un istante. Photoshoop interni aggiustano e modificano, le scale di grigio possono anche diventare i colori dell’arcobaleno, o stare in un angolo per gli esperti o triturati per la cronaca: l’importante è che la finestra chiusa nel silenzio si allontani da noi per non ricordarci quanto è preziosa la nostra esistenza e quella delle persone che più amiamo ma anche quanto possiamo essere immensamente fragili e soli mentre cerchiamo o continuiamo a correre.
Nessun commento:
Posta un commento