domenica 6 febbraio 2011

CURA E INCONTRO

Sto partecipando a Milano, in Mangiagalli, ad un corso di formazione sulla “Comunicazione Aumentativa” e durante questa preziosa esperienza mi sono imbattuto nello stralcio di un libro del pedagogista Igor Salomone dal titolo “Con Occhi di Padre”, in cui si parla del rapporto con una figlia disabile; mi ha fortemente colpito e commosso nei riferimenti più personali e poi interrogato profondamente, nel percorso che stiamo tentando di fare sul tema del bene comune e più in generale nelle nostre vite affettivo-lavorative, in relazione ad una differenza a cui non avevo mai pensato. Così ho pensato di condividere questa lettura con gli amici di Mondi Vitali.


Tratto da “Con occhi di padre” I. Salomone 2006

“Sento che il terreno più insidioso per ogni relazione significativa è quello delle possibilità di incontro.
Avere una relazione non significa necessariamente riuscire a incontrarsi. C’è gente che si telefona per anni senza mai vedersi, sperando di tenere aperta una relazione che però non incrocia mai. E c’è gente, del resto, che vive fianco a fianco da una vita e si è incontrata l’ultima volta vent’anni fa.
Certo, avere cura delle possibilità di incontro è più difficile che prendersi cura dell’altro. E questo proprio per la dimensione di reciprocità che implica. Io posso occuparmi dei bisogni di qualcuno indefinitivamente senza che questo qualcuno si preoccupi dei miei. Magari alla lunga potrei irritarmi, ma nel frattempo la cura funzionerebbe. Non posso in alcun modo invece prendermi cura dell’incontro con l’altro se l’altro non fa lo stesso. Per incontrarsi è necessario essere almeno in due.
Prendersi cura dei bisogni di un incontro, insomma, richiede un surplus di motivazione. Quindi facciamo una volta per tutte piazza pulita dell’idea un po’ bacchettona che stigmatizza chi fatica a curarsi degli altri, bollandolo come indolente ed egoista. In fondo, curarsi degli altri significa donare qualcosa di sé, siano essi soldi, tempo o energie. E tutto  ciò che richiede è di tollerare questa privazione.
Aver cura dell’incontro invece implica prendersi cura delle sue possibilità di sviluppo. Non si tratta di fare, semplicemente, esperienze comuni. Si tratta di condividere esperienze ascoltandone, mentre le condividiamo, l’orizzonte di futuro. Un impegno ben più gravoso di qualsiasi dono, perché chiede di crescere. Chiede cioè non di privarsi di qualcosa, ma di trasformare se stessi.
……
E tu Luna, aspettami. Appare francamente difficile sbrogliarsi dalla costrizione a occuparsi di te in tutto.
L’unilateralità sembra un vincolo inamovibile: come potresti tu occuparti di me? Dei miei bisogni? Tu che fatichi a riconoscere i tuoi, anche i più elementari? Però non è possibile avere alcun dubbio sul fatto che tu voglia incontrarmi. Non sai come fare, ma su questo siamo alla pari, perché anch’io non lo so. E grazie all’ignoranza che ci accomuna, riusciamo a trovare una simmetria insospettata. Fantastico.
Certo, tocca a me inventare e proporre. Poi tocca a te vagliare e scegliere. Poi tocca a me ascoltare e capire.
….
Ti ho persa un’infinità di volte, in questi anni. Qualche volta ti ho ritrovata. Quando riesco a incontrarti, come nella vacanza che oggi finisce, la stanchezza per le cure che incessantemente richiedi, pur non svanendo, si stempera, si aggiusta, si colora di senso.”

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