sabato 4 dicembre 2010

FAMIGLIA AL CENTRO

Nella recente conferenza Nazionale sulla Famiglia che si è svolta a Milano nei primi giorni di Novembre è stata presentata la bozza del Piano Nazionale per la Famiglia.
Mi preme richiamare in modo sintetico alcune idee guida che stanno alla base della proposta contenuta nel Piano.
  1. Cittadinanza sociale della famiglia: la famiglia in quanto tale acquisisce dei diritti aggiuntivi e supplementari rispetto alla dimensione soggettiva di ogni suo singolo componente.
  2. Politiche attive sul nucleo familiare: azioni che pongano al centro la dimensione della relazione familiare e non le categorie dei soggetti che la compongono (minori, adolescenti, anziani, …).
  3.  Equità Sociale verso la famiglia: una misura di giustizia nei confronti dei compiti di cura che la la famiglia assolve per i figli, i disabili, gli anziani.
  4. Sussidiarietà: interventi non sostitutivi ma finalizzati a potenziare e sostenere le funzioni della famiglia.
  5. Solidarietà tra famiglie: sostegno alla creazione di reti di associazioni di famiglie.
  6.  Welfare “sostenibile e abilitante” che non interviene ponendo al centro le condizioni di vita, lo stato di bisogno, ma che si concentra sulle capacità di vita, sulla capacità di attivare delle relazioni, dei circuiti relazionali virtuosi.
  7. Alleanze locali per la famiglia: reti locali di tutti i soggetti che operano insieme a favore della famiglia
Aspettando il Piano Nazionale (lo scenario politico non lascia intravedere la possibilità di tempi certi e celeri), nascono in me alcune domande.
La prima è relativa alle risorse. Come si pensa di dare concretezza a queste strategie dichiarate. Sulla posizione del governo rispetto alle risorse è interessante rivedere l’intervento del Ministro Sacconi. E’ molto istruttivo ed emblematico.
L’altra questione mi coinvolge di più: quali saranno i livelli di integrazione con l’esistente, con quanto le comunità locali e le famiglie nel frattempo stanno facendo?
Oggi i Comuni e le realtà locali sono certamente il primo riferimento istituzionale per la famiglia. Lo dimostra il forte incremento di richieste di aiuto che le famiglie rivolgono ai Comuni. La vicinanza territoriale muove interventi più attenti ai bisogni a livello locale rispetto al livello regionale e nazionale. In molti servizi comunali è maturata una capacità nuova di porre attenzione non solo al  portatore diretto di “cura” ma dell’intero nucleo familiare.
Sempre a livello locale, una dimensione comunitaria delle politiche sociali, una volta consolidata, sta tentando di contagiare altre politiche, altre aree di intervento; una politica familiare non può limitarsi ai temi tipici: scuola, sociale … ma deve chiamare in causa dimensioni più trasversali quali: cultura, lavoro, ambiente, trasporti, urbanistica.
In alcune realtà permane, tuttavia una lettura marginale dell’area di competenza rispetto alle politiche per le famiglie. La frasi che ancora si sentono sono: “io mi occupo delle famiglie che stanno male, che hanno dei problemi” oppure “Se le assisto sono di mie competenza, se stanno bene  facciano da sole. In alcuni casi si arriva ad una negativa definizione di competenza connessa alla incidenza sul bilancio comunale.
Vi sono ambiti di intervento che a livello locale potrebbero trovare un forte impulso per i quali stiamo assistendo ad interessanti sperimentazioni:
  • Azioni per il rafforzamento delle competenze familiari e dell’auto aiuto;
  • Promozione di ambienti di vita a misura di famiglia
  • Attenzione alle famiglie numerose, sia sul piano tariffario (Quoziente Famigliare) sia per misure family friendly;
  • Attenzione alle famiglie con responsabilità di cura mediante interventi organici di sollievo;
  • Sostegno alle nuove famiglie;
  • Favorire la partecipazione attiva delle famiglie alla vita della comunità

Tutte queste azioni sperimentali devono trovare fondamento su una nuova “alleanza tra comune e comunità". Si registrano infatti elementi di frattura tra istituzione e comunità – tra ente e società civile. Un esempio emblematico si verifica nel mondo della scuola. Nascono associazioni di genitori che si propongono di favorire un’esperienza positiva dei loro figli nel contesto scolastico. E fino a qui tutto bene, apprezzabile. Ma facilmente si giunge a posizioni di contrapposizione dove la scuola è nemica perché taglia, il comune è avversario perché non finanzia. Si instaurano relazioni fondate sul concetto del “Chi paga?”, del chiedere, del pretendere da una parte e del resistere o del concedere dall'altra parte …

La partecipazione e l’attivazione diretta delle famiglie è un valore, è un bene che non può però essere unicamente caratterizzato da logiche rivendicative.
Il “pubblico”, gli enti e le istituzioni devono, di contro, imparare a chiedere un contributo e ad ascoltare i suggerimenti. Ora servono nuove e più semplici modalità di ascolto e di rappresentazione di:      
§         Cosa vuol dire per le persone stare bene?
§         Cosa serve ad una famiglia per stare bene?
§         Cosa dobbiamo fare perché in una comunità si viva bene?
Chi lavora in un ente locali deve imparare un nuovo mestiere: meno il gestore-erogatore e più il facilitatore di processi di comunità. Per fare questo deve cambiare i suoi parametri di conoscenza: non più quello che faccio io, ma ciò che la comunità mi chiede, ciò che la comunità vuole. Una volta analizzato il contesto serve una strategia che necessariamente deve basarsi sulla definizione di chiare priorità, sulla definizione dei “BENI” che vogliamo favorire, di “BENI” condivisi. Se costruiamo una metrica dello star bene, che vada oltre i parametri economici tradizionali, possiamo agire per condizionare le politiche, per costruire delle strategie, per progettare, valutare e riprogettare gli interventi. La metrica deve venire dal basso … non per decreto, ma attraverso un forte processo di partecipazione e di condivisione degli indicatori … il consenso da forza al processo.
Perché non iniziamo a chiedere alle persone, alle famiglie, alle comunità cosa vuol dire stare bene, cosa serve per essere felici? 

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