lunedì 2 maggio 2011

WELFARE: MINORI RISORSE ... OPPORTUNITA' DI CAMBIAMENTO


In un contesto in continuo cambiamento sembra che alcune cose non debbano o non possano cambiare mai.
In questi mesi molti amministratori locali si stanno rendendo conto che le cosi dette risorse aggiuntive finalizzate ai servizi sociali non arriveranno più o che, se arriveranno, saranno di entità minore e con finalizzazioni mirate e differenti.
Le reazioni che registriamo sono diverse nei toni e nelle espressioni, ma poche volte si intravede qualcosa che riesca ad andare oltre la sterile protesta, la passiva rassegnazione o un più facile disimpegno.
Ma di cosa stiamo parlando? Quali minacce di “crollo” del sistema di welfare si delineano all’orizzonte?
Un’analisi fatta in queste settimane in Regione Lombardia ha posto in evidenza che le risorse “compromesse” dai tagli pesano per poco più del 6% rispetto all’intera spesa sociale e sociosanitaria che i comuni, la regione e gli utenti-famiglie, con risorse proprie o con risorse derivanti dal sistema previdenziale statale (INPS), impiegano ogni anno per il welfare.
Ora si tratta di fare alcune considerazioni.
E’ certo grave e negativo che le poche risorse a programmazione comunale vengono ridotte, ma è anche vero che il “sistema” pone le fondamenta su queste per il 6% del totale. Allora a rischio di crollo non è il sistema che, nei fatti, è già delineato in modo differente e pone le basi del proprio modello su altri canali di finanziamento (in primo luogo il sistema INPS – circa il 70%). A rischio di crollo è il ruolo già debole e limitato delle comunità locali (e dei comuni che le rappresentano) rispetto a come porsi in modo significativo per la promozione del “benessere” dei propri cittadini. Qualcuno potrebbe farsi la legittima domanda: ma se “agite” per il 6% significa anche che “valete” per il 6%?
La presa di coscienza di questa situazione - che c’è già oggi e che il taglio mette solo ancor di più in evidenza – impone una riflessione da parte di chi ha ruoli politici nella comunità e di chi lavora per la promozione del bene comune. Se non ci si pone l’obiettivo di superare “il perimetro del 6%" significa che si sceglie di non osare, di non percorrere strade nuove, di non andare verso le reali aree di vita e di interesse delle persone. Un atteggiamento statico diventa un autolimitarsi nel più tranquillo – anche se a lungo andare frustante – lavoro di gestione/mantenimento dell’esistente, consapevoli che ogni piccolo contenimento di risorse assume una rilevanza straordinaria, soprattutto perché non siamo in grado di alzare lo sguardo per darci nove dimensioni di lavoro.
Se invece sapremo sviluppare una tensione al cambiamento arriveremo ad una valutazione del nostro modo di operare e dei servizi che offriamo alla gente. Sarà certamente più naturale aprire nuove opportunità e nuove proposte di intervento sociale che, nonostante le risorse limitate, potranno interessare e coinvolgere gruppi più grandi e differenziati di persone e che intercetteranno tipologie di problemi nuovi che oggi non sono iscritti nelle nostre agende di lavoro. Molto probabilmente non si tratterà di gestire di più o di disporre di maggiori finanziamenti, ma la sfida sarà sviluppare competenze e modelli che permetteranno di "ricomporre" le risorse sul campo in un quadro d'insieme e che sapranno tenere in considerazione i problemi e le potenzialità che caratterizzano un territorio.
Stiamo vivendo un momento cruciale che richiede una consapevolezza nuova dell’agire in campo sociale.
Il Professor Francesco Longo (Cergas Bocconi), con le parole semplici di chi sa dare quadri interpretativi per situazioni complesse, sostiene che il venir meno delle risorse non fa cadere il sistema di welfare, ma fa crollare l’alibi che in modo opportunistico ci siamo costruiti e che ci ha permesso di pensare che quello che abbiamo fatto fino ad ora fosse il welfare per la nostra gente, per le famiglie e per le persone, mentre in realtà già da tempo le cose sono cambiate in modo radicale e veloce: è giunto il tempo di prenderne atto, non ci sono più scuse.  

1 commento:

  1. dell'intervento condivido in particolare due punti:
    - la difficoltà delle comunità locali (comuni in primis),più vicini ai cittadini, a intervenire per il loro benessere, per le motivazioni che bene vengono espresse nel contributo (il 6% pesa di più del 6%)
    - la necessità di trovare nuovi modelli e competenze.
    A questo proposito credo che sia fondamentale (anche nell'intento di evitare sovrapposizioni e quindi sprechi) imparare a lavorare per progetti individuali che puntino al benessere della persona e che coinvolgano le diverse professionalità in campo, più o meno specialistiche.
    Esprimo però anche una preoccupazione: speriamo che i nuovi modelli partano da un assunto importante: per cui i soggetti dell'azione sociale, dopo decenni di sviluppo, siano considerati con pari dignità e valore, penso in particolare al rapporto pubblico/privato, che in alcuni momenti mi sembra a rischio.

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