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giovedì 14 novembre 2013

PSICO... COSA? GIUSTO PER FARE CHIAREZZA!

Correttezza, qualità e responsabilità: le garanzie dell’Ordine.


Dopo il primo contributo dello scorso luglio continua la collaborazione con
l'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna.


Sistemico relazionale, cognitivo comportamentale, psicodinamico. Solo i principali tra gli orientamenti che convivono all’interno della comunità scientifica degli psicologi. Ma per la maggior parte delle persone, l’identità professionale della categoria si riconosce sotto l’unico nome di psicologo. E allora, qual è il termine comune capace di restituire agli occhi della società un’immagine coesa di una comunità così varia? La risposta si trova nel Codice Deontologico, voluto fermamente da tutti gli iscritti all’Albo e riconosciuto come unificatore dei valori che stanno alla base dell’agire come psicologo. E se la varietà di orientamenti si mostra come una ricchezza che la categoria offre ad una società altrettanto multiforme, l’identità di un Ordine professionale rimane sicuramente l’unico modo per dare credibilità e spazio a differenti scuole, ciascuna riconducibile ad un’uniformità di intenti e principi ispiratori. E così la funzione deontologica, ruolo principale dell’Ordine, si manifesta promuovendo e garantendo correttezza, qualità e responsabilità delle prestazioni, sulla base di quelle linee guida condivise che la comunità si è data per orientare l’opera professionale dei singoli. 
Gli psicologi, in quanto appartenenti per Legge ad un Ordine professionale, devono infatti sottostare ai principi del “Codice Deontologico degli Psicologi Italiani”, il quale prescrive comportamenti a garanzia di un esercizio professionale corretto ed a tutela dell’utenza. Fra gli altri, particolarmente importanti da questo punto di vista risultano gli imperativi etici che gli impongono di non ledere il cliente e di non usare la professione per vantaggi personali (di natura patrimoniale, affettiva o sessuale) bensì, all’opposto, di utilizzare le proprie conoscenze per promuovere il benessere psicologico delle persone.

giovedì 11 luglio 2013

HAI SENTITO? IL TERREMOTO



"Hai sentito?" mi domanda una collega affacciandosi trafelata alla soglia della porta del mio studio.  "No -risposi- perché? che dovevo sentire?", "...il terremoto!".
Era il 29 maggio 2012, io non sentii nulla ma in quegli stessi istanti decine di persone persero la vita, altre migliaia se la videro stravolta in trenta secondi.
Pochi minuti dopo le agenzie di stampa hanno cominciato a diffondere le drammatiche notizie. Al termine della giornata di lavoro, tornato a casa, 60 km più a nord la vita continuava a scorrere come sempre, qualche decina di km più a sud, invece, la vita non sarebbe stata più la stessa.

In collaborazione con l'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna proponiamo un contributo dedicato al convegno “Imparare dall’esperienza. L’assistenza psicologica nelle maxiemergenze” svoltosi il 25 maggio scorso.
Nel video le interviste all’On. Giuseppe Zamberletti, Presidente ISPRO e Presidente emerito della Commissione Grandi Rischi presso il Dipartimento di Protezione Civile, Angelo Tranfaglia, Prefetto di Bologna, Giuseppe Luigi Palma, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, Fabrizio Curcio, Direttore Ufficio Gestione delle Emergenze del  Dipartimento di Protezione Civile Nazionale e Nora Marzi, responsabile del Servizio di Psicologia dell’Area Nord dell’AUSL di Modena.

Possiamo sin d'ora anticipare che, al termine del periodo estivo, pubblicheremo un nuovo contributo sul tema della tutela della salute psichica dei cittadini. Ringraziamo il Presidente, il Consiglio e la Segreteria dell'Ordine  degli Psicologi dell'Emilia-Romagna per la disponibilità dimostrata. Un grazie particolare va alla dr.ssa L. Franchomme che ha creato il contatto.

giovedì 27 giugno 2013

WELFARE E OPINIONE PUBBLICA

Come è possibile coinvolgere l'Opinione Pubblica in una nuova visione di welfare. Forse parlare all’Opinione Pubblica, alla gente, significa fare anche un’azione di immagine?
Mi pongo questa domanda senza voler banalizzare il tema. Personalmente credo che ci sia ancora un’immagine troppo negativa con tutto ciò che riguarda il sociale. Sono ancora largamente diffusi stereotipi vecchi di anni ma che riescono a resistere anche oggi.
In generale “sociale” è ancora troppo connesso, nella visione collettiva, con povero, sfortunato, svantaggiato.
Andare ai servizi sociali chiama in causa dimensioni di giudizio, di vergogna, di squalificazione personale.
Essere in difficoltà, soprattutto di tipo economico, significa aver sbagliato, aver fallito, non essere in linea con l’immagine di successo e di benessere dominante, che non ammette l’insuccesso e che pretende determinati stili di vita, …
In alcuni casi sociale viene anche legato a “colpa” a comportamento illegale, sbagliato, cattivo, deviato, ...
Infine sociale come sistema per chi vive da “parassita” della società, da “furbetto” alle spalle del pubblico, da “cronico” che non si riscatterà mai, ...
Queste sono solo alcune delle “letture” che quotidianamente sentiamo vivendo nei servizi.
Come è possibile che l’opinione pubblica, intrisa di questi cliché, possa essere “scossa” da una nuova tensione che chiama la società a non espellere i problemi sociali, ma a farsene carico all’interno di una visione che trova fondamento sulla promozione del bene comune e per la tutela dei diritti di tutti.
Forse serve davvero un’azione di “marketing” per dare un’immagine positiva al sistema welfare.
In questa visione pauperistica del sociale rischiano di essere trascinati anche gli operatori, pubblici e del privato sociale, che, come i loro utenti, vengono “giudicati” negativamente, come i delegati a farsi carico degli “espulsi”, coloro a cui è affidato il compito di presidiare, da soli, il disagio. 
Il rischio, allora, è che il divario tra sociale e società rimanga incolmabile.
Lancio una provocazione: perché non fare una bella serie televisiva, una sit com, per rilanciare l’immagine delle assistenti sociali e degli operatori sociali in genere. Dopo i carabinieri, la polizia, i medici, fino alle suore ai preti, forse è giunto il tempo che anche chi lavora nel sociale abbia un’occasione mediatica per recuperare, agli occhi della gente, un po’ di credibilità, di stima, di immagine positiva.

lunedì 24 giugno 2013

WELFARE BENE COMUNE

“Educarci al welfare bene comune ha questo significato: di aiutare l’opinione pubblica, la società nella quale viviamo e per la quale riteniamo di lavorare, a riconoscere il welfare come bene comune, come servizio per tutelare i diritti di tutti i cittadini. Il futuro del welfare è affidato alla nostra fragile capacità di argomentare, rendere visibile, di trovare parole che sappiano parlare fuori dai nostri mondi, intercettando sensibilità e disponibilità.”
Questo concetto, che credo il vero nodo della questione, apre molte domande, che, per il mio punto di osservazione, riporto ad una riflessione rispetto al contesto locale che quotidianamente vivo.
1) In primo luogo CHI è in grado di trovare parole che sappiano parlare fuori dai nostri mondi…? Chi è pronto per farlo? Chi ha maturato in modo consapevole questo ruolo? A chi compete? Quali sono i soggetti che immaginiamo possano assumere questo compito?
Forse i soggetti più indicati sono gli Amministratori Locali? Quante volte incontriamo Sindaci e Assessori che mantengono una visione del sociale ancorata a logiche di beneficenza, di pronta risposta all’emergenza e, peggio ancora, di intervento finalizzato al consenso.
Ci sono anche Amministratori più aperti e meglio strutturati, ma è veramente difficile trovare figure che riescano ad impostare una programmazione sociale partendo da un posizionamento strategico definito in chiave promozionale, per la tutela dei diritti, per il bene della comunità intera che amministrano.
Permane ancora largamente diffusa una gestione del sociale per “il sottogruppo” dei propri cittadini che non ce la fanno, per la “fetta” di popolazione in condizione di disagio, quindi per una componente marginale e ai margini della comunità.
Sono convinto che gli Amministratori Locali debbano assumere un ruolo di primo piano per parlare all’opinione pubblica, per coinvolgere la società nella sua interezza, per mediare una visione che identifichi il sociale con la società. Credo però che serva un costante lavoro di accompagnamento e di condivisione che permetta a chi amministra le nostre città di sviluppare un’idea di welfare che non si riduca allo stanziamento di qualche fondo stratificato nel bilancio comunale.
Forse questo ruolo compete agli Operatori Sociali? Sia chi lavora nei servizi pubblici, sia chi lavora nelle strutture del privato sociale è capitale sociale del contesto in cui opera. Di conseguenza sembra immediato che possano essere gli operatori sociali i soggetti in prima linea per promuovere questa sfida. Ma per aspirare a parlare “fuori dai nostri mondi” dobbiamo aver consapevolezza di quante parole servano ancora al nostro interno.
Siamo ogni giorno impegnati in processi di ricostruzione del senso di ciò che stiamo facendo. Da più parti arrivano segnali di frammentazione, di disorientamento, di mancanza di un quadro certo e condiviso.

sabato 18 maggio 2013

UN'IMPRESA COMUNE. RIPROGETTARE IL WELFARE

Riportiamo alcune testimonianze illustrate al Convegno promosso a Torino lo scorso 6 maggio da Compagnia San Paolo e Fondazione CARIPLO. 
Il primo intervento è relativo all'esperienza in atto nell'Ambito Distrettuale Cremasco sul tema della coprogettazione.

GUARDA IL VIDEO

domenica 16 dicembre 2012

VOLETE AIUTARE QUALCUNO? STATE ZITTI E ASCOLTATE

Ernesto Sirolli - TED 17:09 Posted: Nov 2012
Una riflessione importante per chi vuole dare un significato nuovo al lavoro di comunità.

sabato 24 novembre 2012

LA SUSSIDIARIETA' QUOTIDIANA (ovvero come non sentirsi la Repubblica…della carta igienica)


Il cittadino che risparmia energia, fa un uso sostenibile della risorsa idrica, segue bene le regole della raccolta differenziata, sceglie il trasporto pubblico, condiviso o sostenibile anziché il mezzo di trasporto individuale privato, tiene in buono stato un proprio immobile (es. restaura la facciata, pulisce o sgombera il proprio marciapiede da rifiuti, detriti o dalla neve, pota alberi che minacciano di rovinare su strade pubbliche, smaltisce foglie secche che rischiano di causare un incendio oppure ostruiscono canali di drenaggio delle acque piovane, ecc.) è un cittadino che svolge “attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”?
Insomma, il cittadino che nella propria vita privata o nella gestione di beni individuali tiene una condotta orientata alla riduzione o, addirittura, all’ eliminazione di “problemi collettivi” (o, meglio, per la collettività) e che, conseguentemente, contribuisce a ridurre/eliminare la necessità di organizzare una risposta pubblica, si può considerare un cittadino attivo che deve essere “favorito” dai poteri pubblici? Oppure, guardando al fenomeno da un’angolazione opposta e inversa, si può parlare di veri e propri doveri civici del proprietario o del "privato cittadino"? Forse non è la corretta applicazione della sussidiarietà?
Qualcuno potrebbe dire che in fondo si tratta di comportamenti in alcuni casi già resi obbligatori dal diritto, altri che si tratta di condotte irrilevanti per lo stesso e che sarebbe bene che tali rimanessero. Qualcun altro potrebbe sostenere che in fondo non vi è sussidiarietà in azione, almeno fino a quando i poteri pubblici non cerchino davvero di istituire un’alleanza con i cittadini per tutelare l’interesse generale attraverso un miglior governo dei beni privati o delle condotte individuali.
Lo stesso potrebbe dirsi se fossi un agricoltore e non mi preoccupassi di "manutenere"
correttamente i miei impianti di irrigazione e per effetto di questo si determinasse un disastro ferroviario od altro. Mi sto riferendo ai numerosi fenomeni di dissesto idrogeologico causati, a seconda i casi, dal mancato coinvolgimento o dal malfunzionamento di quelli che, almeno in linea teorica, sono consorzi tra proprietari di aree che necessitano il coordinamento d’ interventi pubblici e privati per la difesa del suolo, la regolazione delle acque, l’irrigazione e la salvaguardia ambientale.

mercoledì 21 novembre 2012

IO LA CARTA IGIENICA NON LA PORTO


Ci voleva il periodo di arrabbiatura generale, l’ora notturna ed infine il post di Massimo per convincermi a scrivere di un argomento che da qualche tempo mi gira in testa. Mi sono trattenuto sin ora per due motivi. Primo: so di andare controcorrente, contro moda, e non sarebbe un problema, mi capita di frequente. Secondo: non ho le idee sufficientemente chiare, e questo sì, potrebbe essere un problema.
Concordo e rilancio sul fatto che ci si debba prendere pubblicamente la responsabilità individuale di come si vive anche da privati cittadini: etica, morale e giù giù sino alle spicce scelte quotidiane ma non mi si affibbi la responsabilità di quello che fanno o non fanno gli altri. Non ho né tempo né voglia né tantomeno competenze per sapere di qualunque cosa e quindi delego, certo che delego, anche se non per sempre e non comunque ma delego. Nessuna società complessa potrebbe funzionare senza il meccanismo della delega.
Ti delego a costruirmi la casa, a procacciarmi del cibo, ad istruire i miei figli, a curarmi se sto male, a scegliere per me e per tutti le leggi migliori per il vivere comune ma se fallisci poi non dirmi che il problema sono io, non dirmi che il problema è nella delega, non dirmi che il problema è nel sistema, il problema è nell’incompetenza, nell’inettitudine e/o nella malafede del delegato che si è proposto per quel compito.

sabato 3 novembre 2012

SOLI DAVANTI ALLA CRISI


In un momento di crisi e di difficoltà è fondamentale non abbandonarsi alla disperazione, scaricando il proprio problema sulle spalle di chi ci sta accanto.  E’ però altrettanto importante non sentirsi autosufficienti e pensare di “dovercela fare” a tutti i costi da soli, senza mai chiedere aiuto, anzi pensando di dover essere “sostegno” indispensabile per chi ci sta accanto, responsabili unici dei loro destini.
In questi giorni è ricorrente sentir parlare di crisi: crisi personale, crisi di coppia, famiglia in crisi, crisi aziendale, crisi sociale, crisi economica, paese/nazione in crisi.
Da più parti si levano voci di lamentela, urla che accusano, risentimento verso coloro, sempre altri, che sono ritenuti responsabili, colpevoli. La richiesta di aiuto degrada presto in pretesa di soddisfazione del proprio bisogno. La condizione di disagio diventa motivo di recriminazione, denuncia di un diritto negato, manifestazione accesa di ingiustizia subita.
Poi c’è qualcuno che non ci sta, che non vuole accodarsi nella lamentela e che cerca di “darsi da fare” per non subire la situazione. Ci si industria nella ricerca di qualche soluzione alternativa. Si costruiscono progetti per trovare strade nuove per se e per le persone che condividono la situazione di disagio.
Queste persone sono importanti, indispensabili, sono una ricchezza per la comunità, ma spesso, troppe volte, solo lasciate sole. Non adeguatamente sostenuti e accompagnati questi soggetti si “sentono soli” e si fanno carico, portano sulle loro spalle la loro condizione e la preoccupazione per gli altri.  
C’è il rischio che si venga a creare una condizione per cui chi vuole darsi da fare, chi vuole impegnarsi si esaurisca in poco tempo, dopo aver dato fondo a tutte le proprie energie migliori.
Il risultato è che la comunità perda il contributo di un soggetto attivo con l’elevata probabilità questi si vada ad aggiungere alla schiera delle persone disilluse, demotivate, esaurite, che “aspettano” che qualcosa succeda.      
Allora è meglio che ci si accorga di chi è ricchezza nei nostri luoghi di vita. 
Impariamo a sostenere questi “punti di riferimento” per permettere loro di “prendere fiato”, di non “bruciarsi” perché troppo esposti alle pressioni della situazione critica e schiacciati dalle richieste di chi si “avvinghia” ai pochi che sanno dare ascolto, aiuto e vicinanza.
Il peso della crisi è meno opprimente se siamo in tanti a portarlo, se ci sosteniamo a vicenda, se ci diamo il cambio, se accettiamo di non essere “invincibili” e riconosciamo l’importanza di doverci ricaricare per poter ritornare a dare il meglio di noi stessi  sulle “lunghe distanze” che questa crisi richiede. 

giovedì 25 ottobre 2012

FESTIVAL FAMIGLIA: APPUNTI


Mondi Vitali è al 1^ Festival della Famiglia di Riva del Garda. L’iniziativa promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dalla Provincia Autonoma di Trento vuole essere un’occasione di riflessione comune a partire dallo slogan “se cresce la famiglia, cresce la società”.
Quando si va ad un convegno come questo, l’atteggiamento che si deve avere è ben rappresentato dalla immagine usata da uno dei relatori che, citando Einstein, ci ha ricordato  come … “ la mente è come un paracadute: funziona solo se si apre”.
Siamo qui con la mente aperta per ascoltare suggestioni, per incontrare persone, per conoscere esperienze.
Gli interventi di oggi, salvo poche eccezioni, sono stati interessanti e di qualità.
La prima sorpresa è stato il ministro Riccardi che ha fatto un intervento ricco di riflessioni che non sempre ritroviamo in rappresentanti delle istituzioni: oltre a competenza e merito, il ministro ha trasmesso convinzione, speranza e … passione (nonostante sia un tecnico). Significativo il richiamo al Piano Nazionale per la famiglia, presentato come un "sogno" necessario per ridare slancio ad una politica che non sa più sognare.
Diversi sono stati poi i contributi di importanti relatori.
Donati ci ha ricordato che non è la carenza di risorse la vera causa della crisi per le famiglie, ma che l'intero sistema, nelle sue regole di fondo, pone ostacoli alla famiglia, ne penalizza lo sviluppo e non ne riconosce il ruolo. 
La famiglia non può essere considerata solo come un ammortizzatore sociale “che fa comodo” o come una “voce di spesa” che crea problemi. La famiglia deve recuperare valore come fondamentale “produttore” di beni relazionali, che hanno una forte rilevanza economica e sociale.
La riflessione è continuata grazie ai contributi di altri relatori che hanno confermato l’importanza di “ridisegnare” una visione culturale che ponga la famiglia (nelle sue diverse forme) quale componente fondante la nostra società.
Di particolare interesse le esperienze dei distretti famiglia trentini e delle alleanze famiglia tedesche.
Questo primo pomeriggio di lavori ci lascia suggestioni importanti: 

  • il cambiamento non solo nel modo di fare ma prima e soprattutto nel modo di vedere e di pensare; 
  • la crisi economica può essere affrontata ritrovando l’energia dei beni relazionali; 
  • il livello locale è la dimensione ideale per rilanciare un’azione costruttiva con e per le famiglie; 
  • l’innovazione come capacità di combinare in modo insolito fattori noti; una spinta al cambiamento che si fondi sulla valorizzazione di tante ricchezze già oggi presenti; 
  • il tempo della delega ad altri, della de-responsabilizzazione è finito: ognuno è chiamato ad agire e a dare il proprio contributo.  

giovedì 31 maggio 2012

INTESSERE COMUNITA'




Riportiamo con piacere il testo dell'intervento di Patrizia Pedrazzini al convegno promosso dal Sistema Bibliotecario Cremasco Soresinese dal titolo "INTESSERE COMUNITA' - IL RUOLO DELLA BIBLIOTECA IN TEMPO DI CRISI" 


Crema, 24 maggio 2012

Innanzi tutto porto il saluto dell’ufficio di piano con il piacere di essere stati invitati a questo importante convegno: abbiamo infatti colto l’interesse di chi si occupa di cultura verso le politiche sociali e l’interazione tra le politiche è tra gli obiettivi della programmazione distrettuale per questo triennio.
Ho pensato di utilizzare questo spazio per comunicare alcune questioni che hanno alimentato la stesura del nuovo Piano di Zona o che vi sono contenute, evitando di raccontarvi un documento che può essere letto sui nostri siti.
Mi è parso cioè che fosse più interessante individuare i punti d’incontro tra gli ambiti di cui ci occupiamo.
Dunque intessere … al tempo della crisi. Non in un momento qualsiasi ma oggi, in questo preciso momento storico che è un momento difficile per tutti.
Dovendo portare il contributo dell’ufficio di Piano questo intessere mi rimanda innanzi tutto alle consonanze e comunanze delle politiche sociali e culturali ed alla necessità che le politiche si intreccino tra loro.
Questa dichiarazione ci richiama al fatto che, nella criticità di oggi siamo chiamati (seppure  con ruoli diversi)  ad uscire dai reticoli e dai recinti di ogni servizio per stare a contatto gli uni agli altri nei luoghi che ci accomunano e a contatto con coloro che i luoghi li abitano: ci occupiamo della stessa gente.
Nel tempo della crisi,  la sfida per noi che rappresentiamo servizi, quali che siano, è riuscire ad essere parte viva e vivace di un territorio, riuscire ad interloquire con quanto succede e definire modi possibili di stare in raccordo rispetto all’idea di comunità che abbiamo in mente.
Un momento nel quale occorre fare  lo sforzo per ricercare risorse di cui –forse-  ci eravamo dimenticati e che afferiscono alla socialità, alle relazioni tra le persone, alla responsabilità reciproca, al prendersi cura, …..
Questi temi sono ben presenti nel PDZ approvato recentemente col quale si è scelto di prestare attenzione al benessere della comunità più che alle areee  di malessere, nella convinzione di riuscire a catalizzare quelle componenti della comunità che sono risorsa, che possono divenire elemento di forza per far fronte a situazioni di bisogno.
Il lavoro di riflessione partecipata che, negli scorsi  mesi, ha accompagnato la costruzione del nuovo PDZ ha reso evidenti  alcune  VISIONI DIFFUSE che, alla luce dei cambiamenti in atto, ingabbiano il lavoro sociale;   vi è stato perciò lo sforzo di rivisitare il sistema di welfare per interrogarlo, anche nelle prassi, e per definire nuove ipotesi con un approccio che ha inteso evidenziare i transiti culturali oggi necessari.

martedì 1 maggio 2012

LAVORO, E' QUI LA FESTA?

E invece - stando per altro a cifre vecchie, di prima della crisi - alla Festa dei Lavoratori del 1° Maggio potrà partecipare solo una persona con disabilità su cinque. La stessa recente riforma del mercato del lavoro, proposta del Governo, dedica davvero troppo poco a tale questione e l'impressione è che il lavoro delle persone con disabilità continui ad essere vissuto come un "impaccio", un "peso", un "vincolo negativo" per le aziende e non, come potrebbe essere, una grande risorsa umana, professionale e persino morale, per tutti.


Vengo anch’io. No, tu no. Alla festa dei lavoratori, fra pochi giorni, potrà partecipare soltanto una persona disabile su cinque. E forse il dato è per eccesso. Il tasso di disoccupazione supera l’80 per cento, e sono cifre vecchie, prima della crisi. Alle liste del collocamento mirato risultavano nel 2007 quasi ottocentomila potenziali lavoratori con disabilità.
Osservo il quadro di Pellizza da Volpedo, che risale al 1901. E’ ancora il simbolo più potente ed emozionante del movimento dei lavoratori italiani. Mi accorgo che vi sono uomini, donne e bambini, ma che logicamente neppure qui compare una persona disabile. Ai primi del Novecento tutto ciò era comprensibile, naturale. Ma è duro dover constatare che a distanza di oltre un secolo nelle parole d’ordine sindacali, nel dibattito delle categorie produttive, nell’agenda politica dei partiti, nel calendario del Governo, questo aspetto, che potrebbe essere fortemente innovativo ed equo, è praticamente assente.
Faccio due conti, molto banali. Se ogni anno, nei prossimi tre anni, venisse offerta una reale possibilità di inserimento lavorativo a cinquantamila persone con disabilità fisica, sensoriale o intellettiva, potremmo contemporaneamente assicurare alle casse dello Stato un risparmio secco di altrettante pensioni di invalidità. E inseriremmo nel mercato globale un piccolo esercito di nuovi consumatori, affrancati dall’assistenzialismo, liberi dal bisogno.

domenica 26 febbraio 2012

FALSI INVALIDI: DISABILI BANG, BANG


DA VITAONLINE 
I numeri che smentiscono il presidente Mastrapasqua
Esternazioni a cadenza annuale. È febbraio il mese scelto da Antonio Mastrapasqua, presidente dell’Inps, per illustrare le cifre della rigorosa lotta per combattere sprechi di denaro pubblico nel settore delle pensioni di invalidità. Da quando l’Inps è diventato di fatto il braccio armato dei governi per cercare di porre un freno alla spesa pubblica “improduttiva”, i grandi media tendono a dargli credito, prendendo per oro colato le sue affermazioni, e soprattutto le cifre contenute nei suoi rapporti. Troppo suggestiva, infatti, è stata la campagna contro i “falsi invalidi” per non lasciarsene sedurre. Peccato che in realtà i “falsi invalidi” (basta leggere le cronache nazionali) vengono scoperti dalle forze dell’ordine in seguito a indagini nell’ambito di operazioni spesso legate alla criminalità organizzata, e mai per controlli di routine o straordinari, come quelli effettuati dall’Inps. Ma questo particolare viene regolarmente omesso. Allora vediamo, una per una, le ultime perle pronunciate da Mastrapasqua. E quella che invece è, secondo i dati, la verità.

lunedì 20 febbraio 2012

LASCIATECI SOGNARE

Da www.gruppoabele.org
L'Italia è prima in Europa, e terza nel mondo, per volume di denaro speso dai cittadini nel gioco d'azzardo. Il fatturato del settore corrisponde al 4% del Pil nazionale, e nel 2010 ha superato i 76 miliardi di euro. Si stima che il comparto dia lavoro a 120mila persone, attraverso circa 5mila aziende.
Una vera miniera d'oro per lo stato, che controlla il mercato dell'azzardo tramite l'Amministrazione Autonoma dei Monopoli? Non proprio, soprattutto se guardiamo al sistema dei giochi su internet, recentemente liberalizzato con il dichiarato intento di rimpinguare le casse pubbliche: solo l'1,8% dei proventi va all'erario, con il caso limite dei Casinò on-line, che versano lo 0,1% del totale giocato.
Altissimi invece i costi, sia in termini di contrazione di altri tipi di consumo - penalizzati dal dirottamento della spesa delle famiglie sull'azzardo - sia, soprattutto, a livello umano e sociale. Il gioco compulsivo è considerato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità una vera e propria "malattia sociale", e in Italia a soffrire di questa forma di dipendenza sarebbero più di 700mila persone. Una cifra che rischia di aumentare, visto il progressivo ampliamento del pubblico coinvolto: dai giovanissimi, alle casalinghe, alle persone in difficoltà economica che cercano nelle lotterie una via di fuga dai problemi quotidiani e la speranza di un miglioramento "improvviso" delle proprie condizioni di vita.
"Lasciateci sognare" recita lo slogan più recente ideato per pubblicizzare il "Superenalotto". E se fosse invece il momento di aprire bene gli occhi sui pericoli e le contraddizioni di questa realtà? Ci ha provato la puntata del 17 febbraio di "Fuori Tg", il programma di approfondimento in onda su Rai Tre. Fra gli interventi, insieme a quelli del giornalista Antonio Maria Mira e del Sociologo Maurizio Fiasco, anche uno del vicepresidente del Gruppo Abele, Leopoldo Grosso.


domenica 29 gennaio 2012

NON GIOCARE, VINCI!

E’ allarme dopo il nuovo record che i giochi d’azzardo hanno registrato a fine 2011, soprattutto in Lombardia. La febbre da gioco è sempre più diffusa tra gli italiani e, in particolare, tra i cittadini lombardi, perché aumentando i giocatori responsabili, non solo cresce il numero dei giocatori patologici, che sull'altare della Dea Bendata, sacrificano risparmi, matrimoni, relazioni affettive, ma si allarga anche la quota degli indebitati che sperano nel colpo vincente per uscire dai guai e aggravano così la loro situazione. I dati sono diffusi da Agicos. 
Secondo le stime dell’agenzia specializzata in giochi d’azzardo, il bilancio del 2011 si è chiuso con una raccolta complessiva di oltre 76 miliardi, superiore del 23,9% rispetto all'anno precedente (61,5 miliardi giocati). Gli italiani hanno speso in media oltre mille euro tra scommesse, concorsi e giochi on line, una media molto alta che pone l’Italia fra i paesi al mondo dove il gioco assorbe più risorse. Il fenomeno, inoltre, è particolarmente radicato in Lombardia. Nel 2011, infatti, è Milano la città in cui si è giocato di più con una raccolta pari a 5,6 miliardi di euro, seguita da Roma e Napoli. E Pavia è la capitale italiana degli scommettitori con una spesa pro capite che nella provincia arriva poco sotto i 2.900 euro, oltre il doppio della media italiana. Stante questa situazione, non stupisce la recrudescenza di fenomeni patologici legati al gioco d’azzardo, ma anche la pratica di chi si affida alla Fortuna nell'illusione di ripianare i propri debiti, finendo invece per aggravarli.

lunedì 26 dicembre 2011

WELFARE AZIENDALE: SOLIDARIETA' O MARKETING?


Leggo sul Corriere della Sera (pag. 8 del 24 dicembre 2011) che un imprenditore ha deciso di andare incontro ai propri dipendenti, pagando l' Imu al posto loro. 
Dice Giuseppe Moro, presidente e amministratore delegato della romana Convert Italia, società operante nel campo del fotovoltaico (60 dipendenti il 30% donne): "Quando abbiamo saputo che tornava l'Ici abbiamo visto che sarebbe stato doloroso per operai che guadagnano 1.400-1.600 euro. Saranno circa 35-40 i dipendenti coinvolti, con un reddito famigliare complessivo fino a 65 mila euro".
L'iniziativa costerà all'azienda tra 60 e 100 mila euro e ai dipendenti con figli a carico sarà rimborsato il 100% dell' Imu, a quelli senza figli il 70%, fino a un massimo di duemila euro. 
L'autore dell'articolo, Massaro Fabrizio, chiude con una domanda fondamentale: ma quanto l'iniziativa dell' Imu è solidarietà e quanto marketing?

martedì 25 ottobre 2011

REDDITO DI AUTONOMIA 2: CHE FACCIA HA LA POVERTA'?


Tra le pagine del testo “Reddito di autonomia”, presentato sabato 15 ottobre a Crema dall’autore prof. Riva, emerge sempre più l’immagine di una famiglia di quattro persone, sorretta da un solo reddito di lavoro medio-basso, una famiglia “normale” che galleggia in un equilibrio incerto, tra debiti, incertezze, rinunce e la paura che possa accadere qualcosa. Eh si, perché basta una malattia imprevista, un nuovo figlio in arrivo, un familiare da dover accudire e l’equilibrio si spezza … la famiglia scivola inesorabilmente sotto la fatidica soglia di povertà.

sabato 22 ottobre 2011

REDDITO DI AUTONOMIA 1: LA SOLIDARIETA' BISOGNA GUADAGNARSELA

15 ottobre – sabato mattina, pochi arditi stanno seduti nella sala del S. Luigi a Crema ad ascoltare.

Si parla di un testo sul Reddito di autonomia, una misura di contrasto della povertà assoluta: un tema caro alla Caritas che ha organizzato l’evento, un po’ meno agli amministratori locali che, purtroppo, sono assenti, ad eccezione dell’Assessore Capetti.
La proposta è interessante: realizzare una forma di contributo economico per tutte le famiglie in condizione di povertà, sotto la soglia della cosiddetta povertà assoluta, condizione in cui non si ha il minimo indispensabile a soddisfare i bisogni essenziali.
Ancora assistenzialismo? No, assistenza attivante e individualizzata.