venerdì 9 dicembre 2011

SVILUPPO E COESIONE. INSIEME. E NEL CREMASCO?


Vanno molto di moda in questa fase le riforme a costo zero. Ma un ulteriore aspetto da considerare in queste proposte è l’effetto leva, ovvero quel che riescono a generare in termini di nuova ricchezza – misurabile da svariati punti di vista – ed anche in termini di cambiamento dei sistemi produttivi e delle organizzazioni che li gestiscono. Una riforma di questo tipo – molto innovativa e altrettanto sottovalutata – riguarda la rigenerazione dei community asset. Si tratta di beni immobili e proprietà da dare in gestione a organizzazioni comunitarie e imprese sociali affinché li ristrutturino sia nella parte materiale che nella finalità sociale.
Nuove forme d’uso per rispondere a esigenze di interesse collettivo. La casistica è amplissima e tutta da esplorare: beni confiscati alle organizzazioni mafiose dove si fa turismo sociale; strutture di enti religiosi che riaprono scuole; beni demaniali e infrastrutture (stazioni, centrali, ecc.) riconvertite a spazi culturali. Un vero e proprio tesoretto immobiliare che può essere alienato per “fare cassa”, oppure, utilizzando un leveraggio più complicato, rimesso in circolo investendo sul lungo periodo e generando maggiori benefici, anche economici.

Nel Regno Unito, i community asset sono una delle più concrete applicazioni della Big Society di David Cameron. Grazie a risorse pubbliche, prese anche dalla lotteria nazionale, sono stati avviati programmi di rigenerazione nei più disparati settori: dalle stazioni dismesse fino ai pub nelle aree marginali che sono stati riaperti grazie ad associazioni “community-based”. Sono processi che nascono spontaneamente, anche per effetto di proteste e occupazioni, ma che sempre più spesso vengono accompagnati grazie ad agenzie che mettono a disposizione competenze diversificate: da urbanisti e architetti a esperti di finanza.
E in Italia cosa si potrebbe fare? In primo luogo coalizzare le progettualità in atto. E poi gettando qualche granello di sabbia nel meccanismo delle dismissioni pubbliche. Ad esempio assegnando una quota percentuale dei beni immobili pubblici per community asset da destinare a strutture culturali e di aggregazione giovanile, a incubatori d’impresa, a centri di servizio sociale, ecc. Una stessa operazione potrebbe essere fatta nell’ambito dell’alienazione di terreni agricoli oggi di proprietà dello Stato e che potrebbero essere utili a sostenere la crescita e il consolidamento di esperienze, già molto dinamiche, di agricoltura sociale.
Un mix di politiche di sviluppo e di coesione sociale.
Due punti qualificanti del nuovo governo nazionale in carica.

E’ una provocazione sostenibile anche per il prossimo governo della città di Crema? Vedi per esempio la struttura degli Stalloni, il palazzo della Provincia in via Matteotti, ma non solo.

( Tratto da  VITA – FENOMENI, 7 DICEMBRE 2011 di Flaviano Zandonai)                                       

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