Vanno molto di moda in questa fase le
riforme a costo zero. Ma un ulteriore aspetto da considerare in queste proposte
è l’effetto leva, ovvero quel che riescono a generare in termini di nuova
ricchezza – misurabile da svariati punti di vista – ed anche in termini di cambiamento
dei sistemi produttivi e delle organizzazioni che li gestiscono. Una riforma di
questo tipo – molto innovativa e altrettanto sottovalutata – riguarda la
rigenerazione dei community asset. Si tratta di beni immobili e proprietà da
dare in gestione a organizzazioni comunitarie e imprese sociali affinché li
ristrutturino sia nella parte materiale che nella finalità
sociale.
Nuove forme d’uso per rispondere a esigenze di
interesse collettivo. La casistica è amplissima e tutta da esplorare: beni
confiscati alle organizzazioni mafiose dove si fa turismo sociale; strutture di
enti religiosi che riaprono scuole; beni demaniali e infrastrutture (stazioni,
centrali, ecc.) riconvertite a spazi culturali. Un vero e proprio tesoretto
immobiliare che può essere alienato per “fare cassa”, oppure, utilizzando un
leveraggio più complicato, rimesso in circolo investendo sul lungo periodo e
generando maggiori benefici, anche economici.
Nel Regno Unito, i community asset sono una delle
più concrete applicazioni della Big Society di David Cameron. Grazie a risorse
pubbliche, prese anche dalla lotteria nazionale, sono stati avviati programmi
di rigenerazione nei più disparati settori: dalle stazioni dismesse fino ai pub
nelle aree marginali che sono stati riaperti grazie ad associazioni
“community-based”. Sono processi che nascono spontaneamente, anche per effetto
di proteste e occupazioni, ma che sempre più spesso vengono accompagnati grazie
ad agenzie che mettono a disposizione competenze diversificate: da urbanisti e
architetti a esperti di finanza.
E in Italia cosa si potrebbe fare? In primo luogo
coalizzare le progettualità in atto. E poi gettando qualche granello di sabbia
nel meccanismo delle dismissioni pubbliche. Ad esempio assegnando una quota
percentuale dei beni immobili pubblici per community asset da destinare a
strutture culturali e di aggregazione giovanile, a incubatori d’impresa, a
centri di servizio sociale, ecc. Una stessa operazione potrebbe essere fatta
nell’ambito dell’alienazione di terreni agricoli oggi di proprietà dello Stato
e che potrebbero essere utili a sostenere la crescita e il consolidamento di
esperienze, già molto dinamiche, di agricoltura sociale.
Un mix di politiche di sviluppo e di coesione
sociale.
Due punti qualificanti del nuovo governo nazionale in
carica.
E’
una provocazione sostenibile anche per il prossimo governo della città di Crema? Vedi per esempio la struttura degli Stalloni, il palazzo della Provincia in via
Matteotti, ma non solo.
( Tratto
da VITA – FENOMENI, 7 DICEMBRE
2011 di Flaviano Zandonai)
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