sabato 11 maggio 2013

VOCI DA DENTRO: PRIMA DEL COLLOQUIO


Un imprecisato numero di porte si sono già chiuse alle mie spalle; avrei voluto contarle ma il pensiero è rimasto a quei troppi minuti sprecati per verificare se rientravo nella lista di coloro in possesso del permesso per entrare; i nomi scritti a mano su un quaderno-agenda che secondo me non trovi più nemmeno in vendita e i miei dubbi legati alla assenza di uno straccio di computer: problema economico o legato all’incapacità di chi dovrebbe usarlo?
Lunghi, spaziosi, labirintici corridoi, chiavi enormi nelle mani delle guardie come nei film americani, come nei videogiochi. Qui le parole e le urla rimbombano elevando ansie e inquietudini alla ennesima potenza. Non riesco a cogliere nemmeno un particolare che possa offrire una idea di conforto, speranza, accoglienza in quella che si definisce “casa circondariale”, presso la quale per molto tempo una vasta popolazione di fatto risiede ed un’altra, seppur meno numerosa, opera e lavora: una casa senza i requisiti minimi di una casa.
Mi dicono di attendere in una saletta l’arrivo di Maurizio; li sento discutere tra loro sul braccio di collocazione del detenuto. Entro nella stanza. Si potrebbe definire ampio sgabuzzino. I muri sono scrostati, negli angoli tra le pareti ed il soffitto spesse ragnatele per insetti anch’essi detenuti, i pavimenti sporchi così come il vetro di una finestrella con le sbarre che guarda un cortile chiuso, senza prospettive. Anche l’appendiabiti è rotto, così decido di tenere la giacca; ci sono due sedie e sono rotte anche loro ma è tuttavia possibile utilizzarle senza finire per terra. Unico elemento fuori da questa orchestra della desolazione è la scrivania: grande, lunga, sembra nuova, il suo colore nero carbone tiene fortunatamente al buio il resto dell’arredamento.
Il colloquio non è ancora cominciato ma so che dovrò farlo io, se ne sarò capace, uno sforzo importante per offrire un po’ di luce in questo scenario asettico dove nulla è colore e tutto sembra neutro.
Il colloquio non è ancora cominciato e la strada è già una ripida salita, un viaggio della speranza verso la speranza, “in direzione ostinata e contraria” per usare le parole di De André rispetto a questi lunghi e troppi anni di non-politica, di non-scelte, di edilizia pubblica (do you remember school?) che cade a pezzi, di non-cura e quindi di non-amore.
In questo contesto ci muoviamo e da qui dobbiamo ri-partire, Maurizio.

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