martedì 4 gennaio 2011

AL VIA L'ANNO EUROPEO DEL VOLONTARIATO 2011



Mondi Vitali vuole dedicare un particolare spazio di riflessione alle tematiche connesse al volontariato. 
 Vita - 03 gennaio 2011
Iniziamo il nostro percorso con un interessante contributo del Prof. Stefano Zamagni pubblicato su

"E’ possibile pensare al volontariato non tanto come strumento per colmare le carenze del welfare state - come finora è stato in gran parte - ma come un agire il cui senso è quello di contribuire a cambiare il modo d’essere delle istituzioni sia politiche sia economiche? E’ intorno a questo interrogativo che mi auguro vorranno ruotare le tante iniziative che l’anno europeo del volontariato vedrà realizzarsi.

Sono dell’avviso che nelle attuali condizioni storiche la missione specifica e fondamentale del volontariato sia quella di costituire la forza trainante per la propagazione, nelle sfere sia politica sia economica, di una concezione non individualistica dell’identità personale – una concezione questa, oggi dominante, secondo cui l’altro è una mera proiezione del mio io, un qualcosa di cui posso fare l’uso che voglio. Par tale concezione, il volontariato oppone l’idea di una identità in relazione con l’altro, per la quale il mio io si produce solo attraverso un processo di relazione con l’altro.
Se invece il volontariato si accontenterà di svolgere meri ruoli di supplenza delle pubbliche istituzioni oppure si limiterà a presidiare la nicchia che con meritato successo è riuscito a conquistarsi fino ad oggi – allora sarà difficile che esso possa scongiurare una lenta perdita di legittimazione sociale. E ciò per l’ovvia ragione che per assolvere a tali compiti bastano – e avanzano - la filantropia compassionevole, per un verso, e lo Stato benevolente, per l’altro verso.
Il fatto inquietante e’ che il volontariato viene oggi “strattonato” sia dai neoliberisti sia dai neostatalisti, sebbene con motivazioni e argomenti tra loro molto diversi. I primi si appellano all’azione volontaria per portare sostegno alle ragioni del loro “conservatorismo compassionevole” al fine di assicurare quei livelli minimi di servizi sociali ai segmenti deboli della popolazione che lo smantellamento del welfare state da essi invocato lascerebbe altrimenti senza copertura alcuna.
Ma ciò genera un paradosso a dir poco sconcertante. Come si fa a parlare in favore di comportamenti di tipo filantropico, come si fa cioè a incoraggiare lo spirito donativo quando la regolazione dell’attività economica attraverso il mercato viene basata esclusivamente sull’interesse proprio e sulla razionalità strumentale, vale a dire sull’assunto antropologico dell’homo oeconomicus? Solamente se la società fosse composta di individui schizofrenici ciò sarebbe possibile – individui talmente dissociati da seguire la logica del self-interest quando operano nel mercato e la logica della gratuità quando vestono i panni del filantropo o dell’operatore sociale.
Non intendo affatto negare che talvolta ciò possa accadere – come in effetti è accaduto – ma nessun ordine sociale può durare a lungo se i suoi soggetti mantengono un codice dicotomico di comportamento.
Il volontariato autentico risolve questo paradosso perché ci mostra che l’attenzione a chi è nel bisogno non è oggettuale, ma personale. L’umiliazione di essere considerati “oggetti” sia pure di filantropia o di attenzione compassionevole è il limite grave della concezione neo-liberista. Il volontario che dona il suo tempo sconvolge invece la logica dell’efficienza, come essa viene tradizionalmente intesa. Le ore trascorse con  il  portatore di bisogni potrebbero – secondo quella logica - essere dedicate a produrre un reddito che il volontario potrebbe poi destinare poi a suo favore, con l’azione filantropica.
Non diverso è lo “strattonamento” che viene al volontariato dalla concezione neostatalista la quale pure genera un paradosso analogo, sia pure simmetrico. Presupponendo una forte solidarietà dei cittadini per la realizzazione dei diritti di cittadinanza, lo Stato Sociale rende obbligatorio il finanziamento della spesa sociale. Ma in tal modo, esso spiazza il principio di gratuità, negando, a livello di discorso pubblico, ogni valenza a principi che siano diversi da quello di solidarietà, ad esempio al principio di fraternità.
Ma una società che elogia a parole il volontariato e poi non riconosce il valore del servizio gratuito nei luoghi più disparati del bisogno, entra, prima o poi, in contraddizione con se stessa. Se si ammette che il volontariato svolge una funzione profetica o – come è stato detto – porta con sé una “benedizione nascosta” e poi non si consente che questa funzione diventi manifesta nella sfera pubblica, perché a tutto e a tutti pensa lo Stato Sociale, è chiaro che quella virtù civile per eccellenza che è lo spirito del dono non potrà che registrare una marcata atrofia. Non si dimentichi infatti che la virtù, a differenza di una risorsa scarsa, si decumula con il non uso. L’assistenza per via esclusivamente statuale tende a produrre soggetti bensì assistiti ma non rispettati, perché essa non riesce ad evitare la trappola della “dipendenza riprodotta”.
Sono dell’idea che il volontariato deve saper opporre resistenza a queste due contrapposte sirene, pena la sua progressiva irrilevanza e uscita di scena. La sfida che esso deve raccogliere è quella di battersi per restituire il principio di gratuità alla sfera pubblica. Per dirla in altro modo, il contributo più significativo che il volontariato può dare alla società di oggi è quello di affrettare il passaggio dal dono come atto privato compiuto a favore di parenti o amici ai quali si è legati da relazioni a corto raggio, al dono come atto pubblico che interviene sulle relazioni ad ampio raggio. Il volontariato autentico, affermando il primato della relazione sul suo esonero, del legame intersoggettivo sul bene donato, deve poter trovare spazio di espressione ovunque, in qualunque ambito dell’agire umano.
C’è tuttavia un ambito dove è oggi massimamente avvertita l’esigenza che il volontariato intervenga con forza a livello europeo. Mi riferisco all’Agenzia Europea dei Diritti Fondamentali, dalle cui funzioni troppo poco si conosce e si discute nel nostro paese. Eppure, si tratta di funzioni di grande rilevanza: come implementare la Carta di Nizza; dove tracciare la distinzione tra umano e non umano; chi hanno da essere i soggetti cui affidare la difesa dei diritti fondamentali; ecc. Occorre allora che i rappresentanti del vasto mondo del volontariato si adoperino per entrare a far parte del Consiglio dell’Agenzia medesima. V’e’ altro obiettivo, meno ambizioso del precedente, ma pure rilevante, che occorre cercare di conseguire durante l’anno europeo del volontariato: il riconoscimento ufficiale delle esperienze di volontariato come esperienze meritevoli di considerazione al pari di quelle di studio e/o di lavoro. Se entro il 2011 si riuscisse a “portare a casa” questi due grossi risultati, l’anno europeo del volontariato non sarà trascorso invano.
Chiudo con un’immagine che prendo a prestito da Fiori del male di Charles Baudelaire: l’immagine dell’albatros, un uccello che, al contrario del calabrone, possiede ali amplissime e zampe corte e sottili, comunque di dimensioni non proporzionate all’apertura alare. Quando si impadronisce delle  correnti ascensionali  dell’aria, l’albatros vola con tale agilità e con così stupenda maestà da sembrare che il suo volo non gli richiede grande sforzo. Non appena si posa a terra, però, diventa maldestro, sgraziato e incapace, senza l’aiuto del vento, di spiccare il volo. Più agita le sue grandi ali, più appare goffo: e il risultato è che non sa fare altro che ridicoli balzi in avanti. Volontariato è un po’ come l’albatros: quando vola alto riceve consenso e ammirazione; quando si posa a terra, e non tende le ali al vento, svela una certa impotenza, perché “a terra” ci si scontra quasi sempre su questioni meschine. L’augurio che formulo per l’anno europeo che è alle porte, è che il volontariato mai si presti a dare ascolto a chi gli propone di volare basso, ma si attrezzi per intercettare sempre le correnti ascensionali dell’aria".

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