giovedì 21 luglio 2011

GLI OPERATORI E I “CASI SOCIALI”

Quando si discute di problematiche sociali, di difficoltà socio economiche e di disagio si pongono le questioni o su un piano teorico-ipotetico con tanti “si potrebbe fare, … si dovrebbe fare” oppure sul piano “politico” chiamando in causa i tagli del governo, la rigidità della regione, l’inconsistenza delle istituzioni e la limitata sensibilità del tal sindaco o del tal’altro assessore.
Poche volte vengono chiamati in causa in modo opportuno gli operatori sociali; se ne parla solo grazie all’azione di alcuni mezzi di comunicazione nazionali e locali che sembrano “godere” nel mettere in piazza un presunto disservizio o una presunta incompetenza, senza conoscere, il più delle volte, quali siano le reali complessità in campo.
Dopo più di dieci anni di lavoro a stretto contatto con i servizi sociali, mi permetto di descrivere solo alcune delle dinamiche personali che entrano in gioco quando un’assistente sociale, un educatore o un operatore in genere di servizio sociale entra in contatto con “un caso”.
Al di là della professionalità, andando oltre i ruoli e le funzioni e superate tutte le questioni di setting e di contesto, l’accoglienza di una nuova richiesta di aiuto porta ad un incontro tra persone. Il “caso” non si riduce a un’altra cartella, ad un altro numero nel carico di lavoro o ad un’altra pratica da sbrigare. Il “caso” è una persona, è una famiglia, è un padre che ha perso il lavoro e con questo un pezzo di dignità, una madre che si fa in quattro per tenere insieme la famiglia “nonostante tutto”, un bambino che “chiede” solo di avere delle opportunità,... un anziano che vuole continuare a rimanere a casa sua, anche se qualcuno pensa che sia meglio una “bella” RSA.
Io vedo gli operatori sociali vivere questi “incontri” con una naturale “partecipazione”, tipica del fatto che lavorare con le persone comporta il coinvolgimento di aspetti relazioni non sempre controllabili e che forse sarebbe giusto vedere come “elemento di ricchezza” da aggiungere alle competenze, all’esperienza e alle abilità professionali.
Certo questa posizione non è canonica e mi espongo a critiche da parte dei “puristi” del lavoro sociale, ma senza la giusta dose di ascolto, di vicinanza, di empatia e di partecipazione, gli operatori rischiano di divenire una ruota arrugginita di un ingranaggio sempre più bisognoso di manutenzione.
Quando invece vedo un assistente sociale che si cura della persona che ha di fronte, che “mette del suo” nella costruzione di un progetto di aiuto, che attiva tutte le reti che il contesto gli offre, che se la prende se le cose non vanno, che sa gioire quando qualcosa si risolve o semplicemente migliora, che esprime fermezza nel sostenere dei no mirati a riattivare le risorse dell’altro, responsabilizzandolo rispetto al fatto che solo “insieme” si può fare qualcosa, allora mi sembra di ritrovare il senso più alto di un servizio che lavora con la comunità e per la comunità, con le persone e per le persone.
Spesso scherzando mi è capitato di dire che servirebbe una bella serie televisiva che possa rivalutare la figura dell’assistente sociale, andando oltre l’immaginario collettivo ancora troppo diffuso della “brutta e acida”, quella che “porta via i bambini” (espressione usata in modo improprio credo solo per un’altra categoria: gli zingari) oppure “quella che non dà niente a me che sono italiano e che si occupa solo degli stranieri”. Dopo una riqualificazione mediatica dei carabinieri, dei medici, della polizia fino ad arrivare alle commesse dei grandi magazzini, servirebbe proprio un’operazione di marketing comunicativo per il sociale.
Per chiudere mi piace ricordare che il “caso” di cronaca locale cremasca connesso allo sfratto divenuto motivo di contestazioni e proteste di piazza, ha visto “coinvolti” diversi operatori che si sono impegnati, con tutti gli strumenti a loro disposizione, per cercare, trovare e proporre dei percorsi di aiuto, sempre rifiutati e sottovalutati. Questi operatori, negli stessi giorni della “clamorosa” protesta di piazza, hanno accompagnato verso soluzioni abitative condivise diversi altri nuclei familiari che, pur non andando in piazza, avevano la medesima minaccia di sfratto imminente. E’ proprio vero che troppe volte passano nel silenzio gli incontri positivi tra persone che hanno permesso delle soluzioni e arriva agli onori (o disonori?) della cronaca ciò che vuole essere dipinto, pur non essendolo, come un “caso” particolare.

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