Mentre una larga fetta di opinione
pubblica e cittadini prosegue la propria opera di protesta e linciaggio nei
confronti della classe politica, mentre la classe politica sembra arrovellarsi
sulla soglia del premio elettorale o nei meandri dei regolamenti per le
primarie, in un contesto sostanzialmente distruttivo, anzi autodistruttivo…mi
chiedo, con fare retorico, se in questo paese non ci sia bisogno di (ri)aprire
un dibattito, una riflessione critica sul meccanismo della delega a tutti i
livelli.
Chi ha legittimato infatti questa classe politica a rappresentarci in
parlamento, nelle regioni, nelle province, nei comuni? Chi ha scelto, seppur
con tutti gli impedimenti/indirizzamenti che ben conosciamo, questi uomini e
queste (poche) donne? Tenetevi forte, qualcuno potrebbe sbiancare: siamo stati
noi! Si, è così, e vale anche, anzi soprattutto, per quelli che non hanno
scelto, per quelli che per esempio hanno deciso, legittimamente, di non votare,
autorizzando tuttavia implicitamente gli eletti (dagli altri) a decidere pure
per loro.
Esistono quindi a mio avviso due
comportamenti dapprima opposti ma poi, negli effetti, convergenti: il primo è
di chi sceglie di delegare (col voto) lasciando tutto o quasi nelle mani del
delegato; il secondo quello di chi decide di non delegare (astenendosi) ma di
fatto autorizza altri a scegliere per lui; l’effetto convergente dei due
comportamenti è ovviamente quello dell’attuale ribrezzo e rancore verso chi ci
governa.
Alcuni comportamenti si ripetono
anche in situazioni più circoscritte: per esempio, nella scuola e nell’asilo frequentati
dalle mie figlie sono poche le mamme e i papà (nonostante l’alto numero di
bambini) disposti a farsi carico di rappresentare i genitori stessi e
impegnarsi perché i nostri figli possano crescere ed imparare in contesti
migliori; la maggior parte preferisce delegare, con motivazioni di volta in
volta comprensibili, incomprensibili o assenti. Così avviene nelle parrocchie,
nei condomini ed in molti altri
ambienti, compresi quelli lavorativi dove spesso si fatica a trovare persone
disposte a mettersi in gioco, sperimentare, correre il rischio di perdere
qualcosa di proprio per il bene della collettività. Si preferisce delegare.
Così la delega, di per sé atto
fondamentale e nobile che dovrebbe consentire ad alcuni di governare un mondo
composto da tanti, perde la sua nobiltà e si trasforma in una delega a pensare anche per me, senza la forza di
approfondire, di verificare, di appassionarsi al bene comune che è anche il mio bene. Un po’ come dire: “io
ti autorizzo ad usare la mia testa” o (nella delega indiretta del non-voto che
non riconosce dignità ad alcuno) “io ti autorizzo implicitamente a pensare al posto mio”.
Ad ogni tornata elettorale si
registra una astensione sempre più elevata eppure non è proprio vero che le persone
(non votanti) non decidano: tutti i giorni infatti incidono concretamente
attraverso scelte economiche, sociali, relazionali, determinano il presente ed
il futuro del paese come chiunque altro ma non delegano nessuno a rappresentare
la loro visione di mondo, né spesso sembrano interessate a contribuire in prima
persona alla costruzione del bene comune; forse, si dice, perché sfiduciate,
stanche, tradite; forse, dico io, anche perché è culturalmente radicata l’idea
che ciò che ci riguarda come individui singoli (o come famiglia individuale)
debba venire sempre prima del bene della comunità, del benessere collettivo,
quasi come se individuo e comunità fossero realtà tra loro inconciliabili.
Allora il tempo che viviamo non
può più essere il tempo delle lamentele o delle giustificazioni, anche se
esistono validi motivi: occorre ricostruire e serve il contributo di tutti; forse
non dobbiamo darci tutti alla politica in senso stretto ma occorre certamente
ri-significare la nostra appartenenza alla comunità, stimolare la nascita di
una nuova coscienza civile, riappropriarci delle nostre responsabilità senza delegare.
In una parola, partecipare.
Nessun commento:
Posta un commento