domenica 20 febbraio 2011

DAI LUOGHI DI CURA ALLA CURA DEI LUOGHI .... Ovvero valorizzare il tessuto fra cittadini

Ci ha scritto la dott.ssa Manoukian nel post del 10 gennaio: “non varrebbe la pena tentare di aprire e scoprire delle parole che rischiamo di usare come se fossero tutte belle e fatte, ben chiare e trasparenti, mentre sono invece opache…. se non oscure? ”
Ebbene faccio mio l’ invito e metto sotto la lente di ingrandimento le parole ’privatizzare’‘esternalizzare’, così di moda in questi giorni a Crema, ed apro ad ulteriori contributi.
L’invito è quello di fare uno sforzo pro-positivo pur partendo da un’analisi lucida dello stato dei rapporti tra i vari soggetti ed in particolar modo con le istituzioni, atteggiamento non facile ma dettato dalla necessità di provare ad uscire della palude delle pure rivendicazioni economiche (comunque assai legittime!) e dalla nebbia che pervade l’apparato pubblico nel definire assetti e modalità, esigenze di bilancio ed attenzioni educative.
L’impostazione riparativa dei sistemi di welfare a scapito dell’intervento di tipo promozionale, ha contribuito ad alimentare una crescita incontrollabile della domanda con l’ insorgere di sempre nuove forme di bisogno e quindi anche una lievitazione della spesa, senza essere in grado di produrre i benefici attesi.
La strada percorsa, nel opporsi alla logica riparativa, non fa leva sulle risorse della comunità, sulla presa in carico comunitario dei problemi e delle risorse, sulla chiamata in gioco della responsabilità di tutti gli attori e sulle competenze degli stessi portatori di una domanda d’aiuto. La strada percorsa è quella di una soluzione privatistica, nella duplice accezione di investimenti sugli interventi specialistici centrati sulla presa in carico dei singoli casi e di esternalizzazione di servizi istituzionali verso il Terzo Settore, ridotto, da una politica miope, a ruolo limitante ed improprio di soggetto erogatore di servizi, più che a soggetto competente nel rigenerare tessuto sociale di responsabilità. 
Vengono affidati singoli servizi allo scopo di renderli più efficienti e diversificati ma soprattutto meno costosi. In altre parole, spesso tutto si riduce a sostituire operatori del settore pubblico con operatori del privato sociale, senza un approccio progettuale per andare oltre la logica prestazionistica, verso la presa in carico di un territorio con i suoi problemi ma anche con le sue risorse. Anche nel cremasco.
Come, allora, pensare e costruire un modello diverso?
Pro-vocare, tirar fuori, fare uscire dalla logica dell’attenzione ai luoghi di cura (certamente tutti ben allineati e formalmente corretti) verso un orizzonte che apre alla cura dei luoghi, degli spazi comuni, ben diversi dagli spazi pubblici, dai luoghi di cura (a volte così rigidi anche se accreditati).
Lo spazio comune, risultato di un processo, è nel contempo esso stesso un processo entro il quale si produce e si costruire un pensiero comune che conferisce senso ai problemi ed attiva nella ricerca di soluzioni.
Lo spazio comune non è semplicemente uno spazio di cui fruire, ma è un luogo in cui si sceglie di sostare, in cui esprimere condividere i propri bisogni e i problemi, anche quotidiani. Non basta limitarsi a coinvolgere le persone, è importante fare spazio alla costruzione ‘insieme’ dei problemi. Se penso alla vicenda dell’ Asilo nido di via Dante a Crema….
Non è virtuoso comunicare decisioni senza condivisione e senza sostare in uno spazio comune di riflessione.
Non è virtuoso polemizzare con risvolti non neutrali senza sostare in uno spazio comune di dialogo.
Non è virtuoso definire il lavoro della cooperazione sociale in termini negativi di qualità di servizio senza sostare in uno spazio comune di conoscenza.
Non è virtuoso nascondersi dietro un linguaggio ‘politichese’ o dentro esigenze particolari e di parte senza sostare in uno spazio comune che mira al bene comune.
Non è virtuoso l’ assunzione di posizioni preconcette a favore o contro la privatizzazione o la esternalizzazione senza sostare in uno spazio comune di approfondimento serio e costruttivo all’interno della comunità, senza deleghe o giochi poco disinteressati.
Sostare, in uno spazio comune che si fa riconoscimento e costruzione di relazioni, più che di prestazioni e polemiche. E nella concretezza di ogni giorno.
Le generazioni future lo attendono da noi! 

1 commento:

  1. Pensando alla cura dei luoghi, ed escludendo quindi in questa considerazione i luoghi di cura, mi vengono subito in mente due flash, una sorta di dentro-fuori rappresentativa delle vite di molti, la casa e la città. Avere cura della casa nel senso di renderla vivibile a 360 gradi, gestendone gli spazi famigliari e di rapporto con i vicini; avere cura della città, dei luoghi in cui sorgono le nostre abitazioni, delle scelte urbanistiche e architettoniche, ecologiche ecc. ecc.
    Animare la città vuol dire animare la cittadinanza, renderla partecipe nel modo ben evidenziato dal tuo intervento, far sentire la corresponsabilità e quindi l'amore verso ciò che si sente anche proprio...

    Massimo

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