lunedì 10 gennaio 2011

COMMENTI

Con gratitudine, poniamo in evidenza un contributo che la Dott.ssa Franca Olivetti Manoukian ci ha inviato a commento del post del 3 gennaio 2011 dal titolo "Di chi è il mio tempo?"


Mi sembra una buona idea far girare considerazioni e riflessioni non solo per mostrare o dimostrare ma soprattutto per cercare inter-locuzioni, reazioni, connessioni. Credo che la co-costruzione conoscitiva di cui tanto si parla quando si intendono promuovere partecipazione e legami sociali, passi da scambi e confronti di  questo genere ovvero dal prendere spunto dalla propria esperienza e dal cercare di ri-guardarla e renderla guardabile, comprensibile, fruibile, da altri . Nel raccontarsi entro registri di questo genere si usano modi di descrivere, modi di dire e di dirsi che sono del quotidiano e che possono essere più facili da mettere in circolo e insieme più prossimi: ci si può riconoscere di più ma si vede anche di più in trasparenza a che cosa facciamo riferimento, che appoggi abbiamo per dare senso, per considerare quello che ci capita.
Leggendo le riflessioni sul tempo – tempo per il lavoro o tempo del lavoro e tempo per le relazioni, in particolare familiari – mi sono sorti alcuni interrogativi. E’ proprio vero che il tempo importante è quello dedicato o da dedicare alla famiglia e che il tempo di lavoro è un tempo costretto in cui siamo imprigionati ? Non esistono tante situazioni familiari insopportabili in cui le persone non vedono l’ora di poter andare a lavorare per trovare degli spazi di riconoscimento e di affermazione di sé? 

E non è forse vero che le situazioni lavorative vengono strutturate entro tempi stretti come se si fosse ad una catena di montaggio anche là dove non c’è nessun meccanismo cogente, ma ci si trova vincolati entro costrizioni auto costruite da cui non si riesce a di-vincolarsi?  E come siamo in grado di rapportarci con le gerarchie? Sono inamovibili o sono inamovibili per come le vediamo e per il posto che occupano dentro di noi? E se ci sono delle tendenze generali a scindere non possiamo contemporaneamente pensare che è importante che noi stessi non ci sentiamo scissi e che troviamo entro noi stessi le continuità nelle nostre esperienze? E non è forse vero che con le varie persone che incontriamo con cui possiamo avere corrispondenze più o meno felici, più o meno appaganti siamo sempre noi che siamo in gioco e il gioco che ci tocca in questa vita è fatto soprattutto di apprendimenti, di comprensioni….. Noi siamo ospiti in un mondo che possiamo contribuire a rendere più umano se riusciamo a capire un po’ di più e meglio dove siamo capitati e che cosa capita a noi e a chi ci sta vicino e a volte come dice W. Szymborska, è importante essere grati a chi non si ama perché da loro impariamo più che da quelli che ci vogliono bene e a cui vogliamo bene .
Non possiamo cercare dentro di noi delle “conciliazioni” o delle ricomposizioni tra quello che accade nella situazione lavorative e quel che accade in famiglia? Mi viene in mente che quando tanti anni fa avevo i bimbi piccoli, tornando a casa, cercavo sempre di trovare qualche cosa che potesse rendere interessante anche a loro il mio ambiente lavorativo. Per un periodo abbastanza lungo mi ero trovata a seguire una consulenza con una piccola azienda a cui dedicavo parecchio tempo: lì avevano un bellissimo grosso cane e, rientrando, raccontavo a mia figlia di 4 anni le prodezze di questo cane in parte vere e in parte inventate; lei mi salutava dicendomi “poi mi racconti che cosa ha fatto stavolta “il cane del Nenzi”… E il bello era che mi accorgevo che per raccontare qualche cosa a lei mi venivano in mente dei particolari o degli episodi a cui non avevo pensato nel preparare o gestire colloqui o riunioni.
L’interrogativo su cui continuo a ripensare è un po’ in questi termini : quanto e come riusciamo a inventarci delle strade per costruirci nella nostra quotidianità dei piccoli mondi che possiamo sentire più vivi e vitali, perché più ricomposti dentro di noi e quanto invece non ci lasciamo trascinare nei percorsi precostituiti che ci affaticano, ma forse ci rassicurano? Che cosa ci rende tutti “stanchi” ?  Il lavoro è inevitabile che implichi una certa fatica, ma la stanchezza secondo me è collegata al fatto che non si vedono esiti positivi legati alla fatica: e che cosa consideriamo positivo? quel che  ci aiuta a capire e costruire ?  o quello che ci permette di essere  valutati bene da altri ? e siccome in un mondo come quello in cui viviamo costruire da soli non è possibile quanto riusciamo a condividere con altri le fatiche per costruire insieme ?
Ho come l’impressione che sarebbe interessante provare anche altri linguaggi per raccontare di noi. Chomsky e altri ci hanno spiegato che il linguaggio non è solo uno strumento per esprimere ma anche qualche cosa che costituisce e istituisce la nostra soggettività di uomini e di donne…. Non varrebbe  la pena tentare di aprire e scoprire delle parole che rischiamo di usare come se fossero tutte belle e fatte ben chiare e trasparenti, mentre sono invece opache , se non oscure ?
franca manoukian

1 commento:

  1. Mi piace molto il passaggio relativo alla possibilità di ricomporre dentro di noi i diversi ambiti del nostro vivere. Si corre spesso il rischio di fare delle classifiche di valore rispetto a ciò che facciamo, oppure di porre in posizioni contrastanti cose/ambienti diversi della nostra vita.
    Il richiamo alla ricomposizione apre la possibilità di infondere senso a ciò che facciamo, anche se ci sembra di vivere una rinuncia o una mancanza rispetto ad altro.

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