giovedì 28 luglio 2011

IO, TU E LA TV

Il 28 luglio è un giorno come tanti ma per l’Italia è una data particolarmente significativa. Alcuni ricorderanno che nel 1914, scoppiò la prima guerra mondiale, l'Austria-Ungheria dichiara guerra alla Serbia; molti meno ricorderanno che in quella data, nel 1976, la Corte Costituzionale sancì l'illegalità del monopolio Rai dando così l’avvio all'epoca delle cosiddette TV private che, nel bene e nel male, ridefinirà nel profondo il panorama mediatico italiano.
Evitando accuratamente il ginepraio par condicio, il Drive-in, Anno Zero e la tenzone fra la maggioranza e le opposizioni per il suo controllo, mi limito a considerare che la gestione privata della comunicazione è affare pubblico e nell’epoca dei social network e dell’accesso libero (non per tutti) alla conoscenza sembra strano pensare ad un monopolio, anche se nella gran parte del mondo è ancora drammaticamente attuale. Sebbene internet abbia conquistato grandi fette di pubblico e di mercato resta comunque la TV il riferimento per la gran parte degli Italiani che ci passano davanti ben 252 minuti tutti i santi giorni (il divano è sempre il divano) seguita dalla vecchia radio, per quanto riguarda i giornali sono staccati di un pezzo.
Secondo uno studio, promosso da Sipra, Rai e Starcom Mediavest Group, infatti, coloro che si dedicano esclusivamente alla TV costituiscono, nell’orario tra le 21-22, il 37% della popolazione totale, percentuale che sale al 45% dalle 22 alle 23 (a quel punto magari anche il letto gioca la sua parte).
Il 45% degli italiani, si affida ad un solo mezzo d'informazione che, nella quasi totalità dei casi, il 93%, è proprio la TV. Un’altra metà della popolazione, il 51%, utilizza almeno due mezzi di informazione e solo il 4% degli italiani non ne usa alcuno.
La radio conserva la seconda posizione mentre Internet conquista solo il terzo gradino dell’ideale podio dell’informazione, per i giovani dai 15 ai 24 anni e gli adulti dai 25 ai 44, mentre solo oltre i 45 anni si continua a privilegiare la lettura dei quotidiani, per gli uomini, dei periodici per le donne, giusto per garantire lo stereotipo.
Secondo quanto si legge nel capitolo «Comunicazione e media» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese del 2010: “Tra settembre 2009 e giugno 2010 c’è stato un calo di spettatori dei telegiornali serali nazionali da 18.333.000 a 14.968.000, con una perdita di audience superiore a 3 milioni. A diminuire in misura maggiore è stato l’ascolto del Tg5 e del Tg1, con una perdita di circa un milione di telespettatori ciascuno. Il confronto settembre 2009-settembre 2010 è altrettanto inesorabile: il Tg1 perde il 3,3% di share e 441.000 telespettatori. Anche peggio va al Tg5, che registra una media del 21,1% di share e 4.601.000 telespettatori, arretrando di 5 punti di share e di 813.000 telespettatori. Nel mese di settembre 2010 il Tg1 e il Tg5 hanno concesso molti più minuti al Pdl (il Tg1 il 35,8% del tempo totale contro il 17,3% al Pd, con un’ora e mezza di differenza; il Tg5 il 30,7% contro il 23%, con una differenza di 37 minuti). Lo sbilanciamento nello spazio concesso alle notizie di una parte piuttosto che dell’altra può aver provocato il distacco di una porzione degli ascoltatori” insomma, secondo il CENSIS: “la cattiva informazione smorza l’audience”.
Non sono certamente in grado di valutare la qualità dell’informazione fornita dai TG citati, anche se un’idea ce l’ho a dire il vero e non credo nemmeno che quantità sia qualità, mi limito però ad augurarmi che gli italiani conservino una buona dose di sano senso critico che permetta loro una scelta, non so se giusta, ma almeno consapevole. Mi auguro che conservino energie per la fatica di informarsi, mi auguro che conservino la motivazione ad informarsi. Mi auguro in sostanza che la fuga dall’informazione non equivalga ad un salto nel vuoto…

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