Ai
margini di un interessantissimo Convegno svolto a Crema il 19/11/11 organizzato
dal CAI di Crema e dalla Comunità Terapeutica ‘Il Cuore di Crema’ proponiano
qualche riflessione allo scopo di allargare l’attenzione ad una novità che si
affaccia anche sul territorio cremasco.
COS’
E’ LA MONTAGNATERAPIA ?
E’
un
originale approccio metodologico a carattere terapeutico-riabilitativo e/o
socio-educativo, finalizzato alla prevenzione secondaria, alla cura ed alla
riabilitazione degli individui portatori di differenti problematiche, patologie
o disabilità; esso é progettato per svolgersi, attraverso il lavoro sulle
dinamiche di gruppo, nell’ambiente culturale, naturale e artificiale della
montagna (dal sito montagnaterapia.it).
Ma
il dibattito sul tema è rimasto in questi anni sempre attivo e vivace; e se il
termine è ormai accettato ed usato da quasi tutti (nell’ ambiente della salute mentale così come
nel C.A.I.) ancor oggi non tutti la condividono a pieno, ad alcuni la
definizione va stretta o viene considerata riduttiva, per altri è addirittura
inutile.
La
vera domanda rimane comunque sempre la stessa e potrebbe essere così
sintetizzata: la montagna può essere fonte di cura e di riabilitazione?
Può
essere difficile trovare una risposta risolutoria, definitiva e totalmente
soddisfacente, allora proviamo a scomporre il problema, esaminiamo le varie parti
che formano il tutto.
La
proposta è di esplorare le diverse aree in cui si può agire, mettendo subito al
centro della nostra osservazione la persona, con i tanti disagi a cui questi
tipi di intervento cercano di dare una risposta.
Molto schematicamente (e sicuramente in maniera non del tutto
esaustiva) possiamo dire che attualmente siamo a conoscenza di esperienze che
operano in molte aree.
La maggior parte di tali esperienze si ritrovano in ambito
principalmente sanitario.
Oggi in Italia i gruppi impegnati nell’ area della salute mentale
sono i più numerosi, ma appaiono altrettanto importanti le esperienze dei
gruppi che si inseriscono in percorsi riabilitativi per tossico-dipendenti,
così come quelle (con maggior connotati educativo/pedagogici) nati nell’ ambito
della disabilità psico-fisica.
Con caratteristiche ancora diverse sono nati in Italia molti
percorsi per persone ipo- o non-vedenti, quindi centrati sulla dimensione
sensoriale della propria esperienza. E sempre nell’ ambito sanitario ma con non
casuali rapporti con il mondo della ricerca e dell’ Università si trovano i
tanti gruppi che si muovono nella riabilitazione cardiologica o in
particolarissimi settori quali quelli della cura delle patologie dell’ occhio, della
patologia diabetica, oncologica ed ortopedica.
Se gli interventi in ambito principalmente sanitario sono di certo
i più numerosi, da alcuni anni stanno venendo alla luce nuove e suggestive
sperimentazioni in campo sociale, rivolte a gruppi di adolescenti problematici
o più generalmente utilizzate per favorire una migliore integrazione sociale
(ad es. esperienze rivolte ad immigrati ed extra comunitari).
A Crema si è sperimentato un percorso in collaborazione con il CAG
‘S.Luigi’.
Da questa sintetica e sicuramente incompleta ricognizione emerge
un quadro ricco e complesso di proposte oggi presenti in questo settore, in cui
le forme di sapere confinanti ed i reciproci voluti inquinamenti assumono
valenza di un valore aggiunto indispensabile.
La dimensione gruppale è probabilmente la principale, sia per la
sua valenza psicodinamica che per l’ impatto riabilitativo; ma a questa si
affianca ovviamente una necessaria attenzione al corpo del singolo, inteso come
luogo di auto-percezione ma anche di continua ri-definizione nel rapporto tra
sé ed ambiente.
Una particolare attenzione è riservata alla dimensione
socio-relazionale, innanzi tutto caratterizzata da un atmosfera impregnata da
una totale assenza di stigma. Questo elemento, uno dei più fondanti l’esperienza
di montagnaterapia, passa attraverso il praticare costantemente una efficace e
positiva relazione d’ aiuto reciproca, percepita in quanto improntata alla
solidarietà interpersonale e del gruppo. In questo ambito relazionale assumono
una notevole importanza i riferimenti gerarchici , volutamente ed inevitabilmente
modificati: paziente, medico, accompagnatore, educatore, guida alpina si trovano
a rimodulare il proprio ruolo e la propria posizione nel gruppo. Un gruppo che
si trova positivamente costretto a progettare assieme, a perseguire insieme la
meta, ad aspettare l’ultimo, a condividere il cibo, a ripensare l’ultima gita
con l’ausilio di ricordi e foto il tutto necessariamente in una voluta e
ricercata dimensione non-sanitaria.
In apparenza gli elementi tecnici sono i più neutri e meno
coinvolgenti, ma se li esaminiamo con attenzione ed alla luce della esperienza
individuale e della propria operatività, ne scaturiranno una notevole quantità
di proposte, idee, osservazioni e valutazioni.
Diverse forme di sapere e nuove professionalità entrano in
contatto, nascono nuovi rapporti e collaborazioni.
Una caratteristica essenziale di questa esperienza è che ha
permesso un originale e positivo uso di nuove figure e di nuove
professionalità, e questo nella stessa misura in cui mondi una volta lontani si
sono avvicinati, incontrati ed amalgamati.
Il sapere sanitario o il sapere sociale hanno da sempre fatto
perno su figure di alta professionalità, ma contraddistinte da specializzazione
e settorialità nell’ intervento.
Queste nuove ed innovative esperienze costringono (il termine è
forte ma adatto) a fare i conti con la possibilità che l’ intervento
riabilitativo o più genericamente di aiuto venga attuato da altre figure, pur
in un contesto progettuale che deve dare comunque un senso all’azione, al
gesto, alla parola. Per fare un esempio pratico ed emblematico, la Guida alpina diventa un soggetto
che va oltre l’essere un tecnico e un professionista; assume un ruolo attivo, diventa
strumento partecipe e integrato al l’interno di un progetto che supera il semplice
accompagnare delle persone in montagna.
E questo perché le accompagna con un atteggiamento attivo su un
sentiero teso al cambiamento attivo.
Discorso simile può essere fatto per l’ altro aspetto, quello più
istituzionale. Chi poteva
immaginare, anche solo dieci anni fa, che mondi così storicamente
e culturalmente lontani come quello della sanità, della montagna e del sociale
potessero incontrarsi, parlare e collaborare? Ebbene si può dire che l’
esperienza della montagna terapia ha avuto un ruolo quasi pionieristico,
mettendo attorno ad un virtuale tavolo le Aziende Sanitarie, il Club Alpino, le
Cooperative del privato sociale, le Amministrazioni Pubbliche, il mondo del volontariato
e tutte le agenzie, enti e gruppi che di volta in volta hanno potuto e saputo giocare
un ruolo nelle specifiche situazioni. Ed è importante sottolineare che sempre
più spesso tali collaborazioni nascono e si consolidano anche attraverso
strumenti formali, con protocolli d’intesa ed accordi programmatici che danno
una precisa e riconosciuta forma agli interventi e che, al contempo, portano a
conferire dignità e visibilità ai progetti.
Davvero abbiamo respirato un’aria con forte ossigenizzazione
positiva che fa nascere il desiderio di praticarla.
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