Riportiamo con piacere il testo dell'intervento di Patrizia Pedrazzini al convegno promosso dal Sistema Bibliotecario Cremasco Soresinese dal titolo "INTESSERE COMUNITA' - IL RUOLO DELLA BIBLIOTECA IN TEMPO DI CRISI"
Crema, 24 maggio
2012
Innanzi tutto
porto il saluto dell’ufficio di piano con il piacere di essere stati invitati a
questo importante convegno: abbiamo infatti colto l’interesse di chi si occupa
di cultura verso le politiche sociali e l’interazione tra le politiche è tra
gli obiettivi della programmazione distrettuale per questo triennio.
Ho pensato di
utilizzare questo spazio per comunicare alcune questioni che hanno alimentato
la stesura del nuovo Piano di Zona o che vi sono contenute, evitando di raccontarvi
un documento che può essere letto sui nostri siti.
Mi è parso cioè
che fosse più interessante individuare i punti d’incontro tra gli ambiti di cui
ci occupiamo.
Dunque intessere … al tempo
della crisi. Non in un momento qualsiasi ma oggi, in questo preciso momento
storico che è un momento difficile per tutti.
Dovendo portare il
contributo dell’ufficio di Piano questo intessere
mi rimanda innanzi tutto alle consonanze e comunanze delle politiche sociali e
culturali ed alla necessità che le politiche si intreccino tra loro.
Questa
dichiarazione ci richiama al
fatto che, nella criticità di oggi siamo chiamati (seppure con ruoli diversi) ad uscire dai reticoli e dai recinti di ogni
servizio per stare a contatto gli
uni agli altri nei luoghi che ci accomunano e a contatto con coloro che i
luoghi li abitano: ci occupiamo della stessa gente.
Nel tempo della crisi, la sfida per noi che rappresentiamo servizi,
quali che siano, è riuscire ad essere parte viva e vivace di un territorio, riuscire
ad interloquire con quanto succede e definire modi possibili di stare in
raccordo rispetto all’idea di comunità che abbiamo in mente.
Un momento nel quale occorre
fare lo sforzo per ricercare risorse di
cui –forse- ci eravamo dimenticati e che afferiscono alla
socialità, alle relazioni tra le persone, alla responsabilità reciproca, al
prendersi cura, …..
Questi temi sono ben
presenti nel PDZ approvato recentemente col quale si è scelto di prestare attenzione
al benessere della comunità più che alle areee di malessere, nella convinzione di riuscire a
catalizzare quelle componenti della comunità che sono risorsa, che possono divenire elemento
di forza per far fronte a situazioni di bisogno.
Il lavoro di riflessione
partecipata che, negli scorsi mesi, ha accompagnato
la costruzione del nuovo PDZ ha reso evidenti
alcune VISIONI DIFFUSE che, alla
luce dei cambiamenti in atto, ingabbiano il lavoro sociale; vi è stato perciò lo
sforzo di rivisitare il sistema di welfare per interrogarlo, anche nelle
prassi, e per definire nuove ipotesi con un approccio che ha inteso evidenziare
i transiti culturali oggi necessari.
Per fare un esempio: è chiaro ormai che il paradigma riparativo del lavoro sociale
non regge più.
Fino ad un recente passato,
il relativo benessere diffuso sosteneva l’idea che fosse possibile riparare il
deficit che segnava la vita di pochi.
Questo scenario non c’è più, anzi abbiamo tutti ben presenti problematiche che investono componenti sempre
più ampie della popolazione ed assumono connotazioni sempre più complesse, andando
oltre la sola dimensione del disagio economico, ma coinvolgendo dimensioni
strutturali della nostra società (mancanza di lavoro, incertezza per il futuro,
isolamento relazionale, stili di vita orientati al consumo, fragilità educative,
smarrimento ….) .
Dato comune a questi disagi
appare essere un certo isolamento e la carenza di legami e di reti di supporto.
Se siamo convinti che i diritti non si tutelano ribadendoli bensì costruendo
delle convergenze non possiamo che sostenere e facilitare il valore della
sussidiarietà intesa come responsabilità diffusa, come corresponsabilità
rispetto al BENE COMUNE.
Diventa quindi necessario
chiedersi come sia possibile interagire con questa trasformazione, convinti che
il lavoro sociale debba rifondare il proprio senso nella tutela dei diritti delle persone, nel
porre come centrale la costruzione dei legami tra le persone, di reti nelle
comunità, di integrazione tra le istituzioni e di alleanza con coloro che attivamente
sono presenti nei diversi ambiti di vita.
Vi vorrei proporre una
definizione dei servizi e delle politiche sociali, o meglio una definizione che
ci aiuti a definire quando –i servizi
e le politiche- sono sociali.
Vi propongo la seguente:
“ i servizi sono sociali quando, e in quanto, producono socialità, in
quanto cioè generano e rigenerano legami sociali, comunicazione, cooperazione e
conflitto”( De Leonardis “In un diverso welfare. Sogni e incubi”),
hanno a che fare con la vita delle persone, sollecitano la capacità delle comunità
locali di trovare soluzioni ai problemi di salute, promuovono le condizioni che
allargano il diritto di cittadinanza (il quale a sua volta ha a che fare con il
dare voce) per consentire alle persone di perseguire i propri progetti di vita,
esercitare le proprie capacità di scelta.
E
le politiche sono sociali quando sono in grado sia di
trattare le criticità del territorio sia di valorizzarne tutte le
risorse; politiche quindi che considerano tutti gli aspetti della vita delle
persone e non vanno per esclusione, bensì per inclusione, si preoccupano di
lavorare per il ben-essere (per fare un esempio: non parliamo del problema casa –problema di pochi- bensì delle opportunità dell’abitare un luogo fatto anche di relazioni sociali e, così inteso rimanda necessariamente alla
necessità di integrazione con le
politiche urbanistiche, dei trasporti, degli orari, ecc.).
Perciò, servizi e politiche
sono coerenti gli uni agli altri quando vi è chiarezza circa i principi ed in
particolare, la coesione sociale, la sostenibilità (prossima alla
localizzazione, per cui per poter funzionare debbono poter contare su un
contesto locale che le possa sostenere), l’attivazione – validazione e le pari
opportunità.
Principi che si possono
perseguire in modi diversi ma, essendo la sintesi delle diverse modalità
operative con cui si fanno le politiche sociali, dunque si tengono insieme,
comprendendo anche il conflitto come uno degli ingredienti di un processo che
porta ad interagire tra di loro le risorse di soggetti diversi.
Si tratta di interrogare gli
orientamenti , di definirli, di confrontarli, alla luce dei diritti che
intendiamo tutelare, parliamo di coesione sociale come un obiettivo da
raggiungere in un tempo in cui la frammentazione sembra essere la definizione
che più ci rappresenta.
Se, come ci
ricorda A. Sen, le principali fonti
di illibertà sono la povertà materiale,
la deprivazione sociale, le
limitazioni alla partecipazione alla vita della comunità , in questo tempo di
crisi è richiesto uno straordinario e prolungato impegno per
ricomporre, per intessere, ripartendo anche da alcune visioni condivise, per sentirci tutti corresponsabili del bene
comune, cercando di affrontare insieme una situazione che spesso comporta
per tutti anche sentimenti di grande
smarrimento.
Immaginare nuovi scenari
richiede quanto meno che ci si distanzi dalle routine, da schemi di riferimento
usuali per mettere a fuoco l’impianto, le scelte …alla luce dei principi.
Vi sono materie e questioni
talmente complesse da non poter più essere affrontate per settori separati né
per vie gerarchiche.
Le istituzioni faticano ad
avviare processi di cambiamento e, spesso, la scarsità di risorse è una delle
giustificazioni per non cambiare.
Trasformare i vincoli in
risorse è possibile se si intendono i rapporti non in modo burocratico ma come
opportunità di arricchirsi reciprocamente in uno spazio di gestione
condivisa della cosa pubblica.
Perciò il cambiamento del
modello di lavoro sociale richiede che siano costruite alleanze tra tutti i
soggetti che compongono la comunità locale: amministratori e operatori pubblici
e del privato sociale sono chiamati ad una
corresponsabilità attiva, per delle scelte condivise, per una piena
valorizzazione delle competenze e per la contaminazione dei saperi.
E dobbiamo anche superare una visione che attribuisce il compito di occuparsi delle
problematiche sociali ad alcune
specifiche componenti quali: i servizi
sociali, la cooperazione sociale, le associazioni, il volontariato e le realtà
caritative.
Cambiare modello presuppone
l’ampliamento della sfera dei soggetti coinvolti per interessare nuove realtà
quali: le realtà produttive, le associazioni di categoria, le organizzazioni
sindacali, il sistema profit oltre a tutti i diversi settori della pubblica
amministrazione.
L’apertura ad una NUOVA
VISIONE di lavoro sociale richiede il superamento delle divisioni esistenti tra
i vari settori e, in modo specifico all’interno degli enti locali.
Lo scollamento tra la programmazione
di interventi sociali, interventi educativi, politiche giovanili, azioni per il
diritto allo studio e per il successo
formativo, iniziative culturali e percorsi di animazione sportiva è un chiaro
caso di frammentarietà all’interno dei nostri enti che, oltre a comportare un
forte rischio di dispersione delle risorse, mortifica le potenzialità dei vari interventi
che, se connessi, potrebbero assumere una valenza molto più significativa per
le comunità locali.
Vi è però una questione da
affrontare: la domanda è: chi si deve occupare del sociale oltre agli
specialisti, perché se tutto è delegato agli esperti, in fondo si privano gli
altri di occuparsene. I problemi sociali non sono esternalizzabili o delegabili
e renderli più visibili tocca ai professionisti.
Quindi la specializzazione è un valore ma va recuperato
il modo in cui lavoriamo insieme. Tuttavia la specializzazione diventa
incongruente nella complessità dei problemi sociali se non vede che la
possibilità di trattarli è collegata al sistema di relazioni delle persone e a
come è il contesto in cui vivono.
Possiamo perciò domandarci
chi sono gli attori. Tutti sono attori, anche i destinatari delle politiche
quando queste si ispirano a criteri di attivazione, a patto che si intendano i servizi sociali nel senso della definizione riportata
all’origine, se “generano e rigenerano” interazioni tra i soggetti coinvolti,
se i destinatari non sono solo coloro che chiedono a qualcuno che usa il
proprio potere per decidere se dare o non dare, dove il prodotto non è quante prestazioni sono state erogate ma quante
relazioni sono state generate.
Da ultimo, nell’immaginare
un cambiamento possibile, dobbiamo anche chiederci quali competenze siano
necessarie; per quanto detto credo che le possiamo identificare con la tenuta delle relazioni, le pratiche
dell’impresa sociale con le sue componenti d’interdipendenza, di negoziazione
in tavoli di coordinamento e di condivisione.
Ed aggiungerei anche la
capacità di coltivare le condizioni affinchè una sana contaminazione aiuti a
superare la frammentazione, in progetti che non si pongono più l’obiettivo
dell’interazione perché l’interazione sta dentro il processo.
Patrizia Pedrazzini
Grazie Patrizia
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