giovedì 31 maggio 2012

INTESSERE COMUNITA'




Riportiamo con piacere il testo dell'intervento di Patrizia Pedrazzini al convegno promosso dal Sistema Bibliotecario Cremasco Soresinese dal titolo "INTESSERE COMUNITA' - IL RUOLO DELLA BIBLIOTECA IN TEMPO DI CRISI" 


Crema, 24 maggio 2012

Innanzi tutto porto il saluto dell’ufficio di piano con il piacere di essere stati invitati a questo importante convegno: abbiamo infatti colto l’interesse di chi si occupa di cultura verso le politiche sociali e l’interazione tra le politiche è tra gli obiettivi della programmazione distrettuale per questo triennio.
Ho pensato di utilizzare questo spazio per comunicare alcune questioni che hanno alimentato la stesura del nuovo Piano di Zona o che vi sono contenute, evitando di raccontarvi un documento che può essere letto sui nostri siti.
Mi è parso cioè che fosse più interessante individuare i punti d’incontro tra gli ambiti di cui ci occupiamo.
Dunque intessere … al tempo della crisi. Non in un momento qualsiasi ma oggi, in questo preciso momento storico che è un momento difficile per tutti.
Dovendo portare il contributo dell’ufficio di Piano questo intessere mi rimanda innanzi tutto alle consonanze e comunanze delle politiche sociali e culturali ed alla necessità che le politiche si intreccino tra loro.
Questa dichiarazione ci richiama al fatto che, nella criticità di oggi siamo chiamati (seppure  con ruoli diversi)  ad uscire dai reticoli e dai recinti di ogni servizio per stare a contatto gli uni agli altri nei luoghi che ci accomunano e a contatto con coloro che i luoghi li abitano: ci occupiamo della stessa gente.
Nel tempo della crisi,  la sfida per noi che rappresentiamo servizi, quali che siano, è riuscire ad essere parte viva e vivace di un territorio, riuscire ad interloquire con quanto succede e definire modi possibili di stare in raccordo rispetto all’idea di comunità che abbiamo in mente.
Un momento nel quale occorre fare  lo sforzo per ricercare risorse di cui –forse-  ci eravamo dimenticati e che afferiscono alla socialità, alle relazioni tra le persone, alla responsabilità reciproca, al prendersi cura, …..
Questi temi sono ben presenti nel PDZ approvato recentemente col quale si è scelto di prestare attenzione al benessere della comunità più che alle areee  di malessere, nella convinzione di riuscire a catalizzare quelle componenti della comunità che sono risorsa, che possono divenire elemento di forza per far fronte a situazioni di bisogno.
Il lavoro di riflessione partecipata che, negli scorsi  mesi, ha accompagnato la costruzione del nuovo PDZ ha reso evidenti  alcune  VISIONI DIFFUSE che, alla luce dei cambiamenti in atto, ingabbiano il lavoro sociale;   vi è stato perciò lo sforzo di rivisitare il sistema di welfare per interrogarlo, anche nelle prassi, e per definire nuove ipotesi con un approccio che ha inteso evidenziare i transiti culturali oggi necessari.

Per fare un esempio: è  chiaro ormai che  il paradigma riparativo del lavoro sociale non regge più.
Fino ad un recente passato, il relativo benessere diffuso sosteneva l’idea che fosse possibile riparare il deficit che segnava la vita di  pochi. Questo scenario non c’è più, anzi abbiamo tutti ben presenti  problematiche che investono componenti sempre più ampie della popolazione ed assumono connotazioni sempre più complesse, andando oltre la sola dimensione del disagio economico, ma coinvolgendo dimensioni strutturali della nostra società (mancanza di lavoro, incertezza per il futuro, isolamento relazionale, stili di vita orientati al consumo, fragilità educative, smarrimento ….) .
Dato comune a questi disagi appare essere un certo isolamento e la carenza di legami e di reti di supporto. Se siamo convinti che i diritti non si tutelano ribadendoli bensì costruendo delle convergenze non possiamo che sostenere e facilitare il valore della sussidiarietà intesa come responsabilità diffusa, come corresponsabilità rispetto al BENE COMUNE.
Diventa quindi necessario chiedersi come sia possibile interagire con questa trasformazione, convinti che il lavoro sociale debba rifondare il proprio senso  nella tutela dei diritti delle persone, nel porre come centrale la costruzione dei legami tra le persone, di reti nelle comunità, di integrazione tra le istituzioni e di alleanza con coloro che attivamente sono presenti nei diversi ambiti di vita.
Vi vorrei proporre una definizione dei servizi e delle politiche sociali, o meglio una definizione che ci aiuti a definire quando –i servizi e le politiche-  sono sociali.
Vi propongo la seguente:  
i servizi sono sociali quando, e in quanto, producono socialità, in quanto cioè generano e rigenerano legami sociali, comunicazione, cooperazione e conflitto”( De Leonardis “In un diverso welfare. Sogni e incubi”), hanno a che fare con la vita delle persone, sollecitano la capacità delle comunità locali di trovare soluzioni ai problemi di salute, promuovono le condizioni che allargano il diritto di cittadinanza (il quale a sua volta ha a che fare con il dare voce) per consentire alle persone di perseguire i propri progetti di vita, esercitare le proprie capacità di scelta.
E le politiche sono sociali quando sono in grado sia di trattare le criticità del territorio sia di valorizzarne tutte le risorse; politiche quindi che considerano tutti gli aspetti della vita delle persone e non vanno per esclusione, bensì per inclusione, si preoccupano di lavorare per il ben-essere (per fare un esempio: non parliamo del problema casa –problema di pochi-  bensì delle opportunità dell’abitare un luogo fatto anche di relazioni sociali e, così inteso rimanda necessariamente alla necessità di integrazione con le politiche urbanistiche, dei trasporti, degli orari, ecc.).
Perciò, servizi e politiche sono coerenti gli uni agli altri quando vi è chiarezza circa i principi ed in particolare, la coesione sociale, la sostenibilità (prossima alla localizzazione, per cui per poter funzionare debbono poter contare su un contesto locale che le possa sostenere), l’attivazione – validazione e le pari opportunità.
Principi che si possono perseguire in modi diversi ma, essendo la sintesi delle diverse modalità operative con cui si fanno le politiche sociali, dunque si tengono insieme, comprendendo anche il conflitto come uno degli ingredienti di un processo che porta ad interagire tra di loro le risorse di soggetti diversi.
Si tratta di interrogare gli orientamenti , di definirli, di confrontarli, alla luce dei diritti che intendiamo tutelare, parliamo di coesione sociale come un obiettivo da raggiungere in un tempo in cui la frammentazione sembra essere la definizione che più ci rappresenta.
Se, come ci ricorda A. Sen, le principali fonti di illibertà sono  la povertà materiale, la deprivazione sociale, le limitazioni alla partecipazione alla vita della comunità , in questo tempo di crisi è richiesto uno straordinario e prolungato impegno per ricomporre, per intessere, ripartendo anche da alcune visioni condivise, per sentirci tutti corresponsabili del bene comune, cercando di affrontare insieme una situazione che spesso comporta per tutti  anche sentimenti di grande smarrimento.
Immaginare nuovi scenari richiede quanto meno che ci si distanzi dalle routine, da schemi di riferimento usuali per mettere a fuoco l’impianto, le scelte …alla luce dei principi.
Vi sono materie e questioni talmente complesse da non poter più essere affrontate per settori separati né per vie gerarchiche.
Le istituzioni faticano ad avviare processi di cambiamento e, spesso, la scarsità di risorse è una delle giustificazioni per non cambiare.
Trasformare i vincoli in risorse è possibile se si intendono i rapporti non in modo burocratico ma come opportunità di arricchirsi reciprocamente in uno spazio di gestione condivisa  della cosa pubblica.                                                   
Perciò il cambiamento del modello di lavoro sociale richiede che siano costruite alleanze tra tutti i soggetti che compongono la comunità locale: amministratori e operatori pubblici e del privato sociale sono chiamati ad una  corresponsabilità attiva, per delle scelte condivise, per una piena valorizzazione delle competenze e per la contaminazione dei saperi. 
 E dobbiamo anche superare una visione  che attribuisce il compito di occuparsi delle problematiche sociali ad  alcune specifiche componenti  quali: i servizi sociali, la cooperazione sociale, le associazioni, il volontariato e le realtà caritative. 
Cambiare modello presuppone l’ampliamento della sfera dei soggetti coinvolti per interessare nuove realtà quali: le realtà produttive, le associazioni di categoria, le organizzazioni sindacali, il sistema profit oltre a tutti i diversi settori della pubblica amministrazione.
L’apertura ad una NUOVA VISIONE di lavoro sociale richiede il superamento delle divisioni esistenti tra i vari settori e, in modo specifico all’interno degli enti locali.
Lo scollamento tra la programmazione di interventi sociali, interventi educativi, politiche giovanili, azioni per il diritto allo studio e per  il successo formativo, iniziative culturali e percorsi di animazione sportiva è un chiaro caso di frammentarietà all’interno dei nostri enti che, oltre a comportare un forte rischio di dispersione delle risorse, mortifica le potenzialità dei vari interventi che, se connessi, potrebbero assumere una valenza molto più significativa per le comunità locali.
Vi è però una questione da affrontare: la domanda è: chi si deve occupare del sociale oltre agli specialisti, perché se tutto è delegato agli esperti, in fondo si privano gli altri di occuparsene. I problemi sociali non sono esternalizzabili o delegabili e renderli più visibili tocca ai professionisti.
Quindi la  specializzazione è un valore ma va recuperato il modo in cui lavoriamo insieme. Tuttavia la specializzazione diventa incongruente nella complessità dei problemi sociali se non vede che la possibilità di trattarli è collegata al sistema di relazioni delle persone e a come è il contesto in cui vivono.
Possiamo perciò domandarci chi sono gli attori. Tutti sono attori, anche i destinatari delle politiche quando queste si ispirano a criteri di attivazione,  a patto che si intendano  i servizi sociali  nel senso della definizione riportata all’origine, se “generano e rigenerano” interazioni tra i soggetti coinvolti, se i destinatari non sono solo coloro che chiedono a qualcuno che usa il proprio potere per decidere se dare o non dare, dove il prodotto non è quante prestazioni sono state erogate ma quante relazioni sono state generate.
Da ultimo, nell’immaginare un cambiamento possibile, dobbiamo anche chiederci quali competenze siano necessarie; per quanto detto credo che le possiamo identificare con la  tenuta delle relazioni, le pratiche dell’impresa sociale con le sue componenti d’interdipendenza, di negoziazione in tavoli di coordinamento e di condivisione.
Ed aggiungerei anche la capacità di coltivare le condizioni affinchè una sana contaminazione aiuti a superare la frammentazione, in progetti che non si pongono più l’obiettivo dell’interazione perché l’interazione sta dentro il processo.

Patrizia Pedrazzini

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