venerdì 10 dicembre 2010

BENI ECONOMICI, BENI RELAZIONALI

Reagisco "a botta calda" rispetto ai tanti contenuti che questa mattina ho avuto modo di ascoltare grazie alle relazioni di Don Giancarlo Perego e di Mara Rossi durante il Convegno "Povero ma non (da) solo" che si è svolto a Crema.
Sono state illustrate chiavi interpretative nuove sia sul versante della lettura dei fenomeni sia per l'analisi delle cause profonde della povertà nel Mondo, in Europa, in Italia e nella nostra Lombardia.
Tra le tante questioni aperte, vorrei soffermarmi su di un elemento comune ai diversi interventi che ha risuonato in me come un'ulteriore conferma della necessità di ripensare il significato di "ben-essere" nel nostro contesto di vita.
Sia Don Perego, dal suo osservatorio nazionale della Fondazione Migrantes, sia Mara Rossi che, dopo anni in Africa come medico missionario, oggi opera per portare la voce dei poveri all'ONU, hanno descritto la povertà come una condizione complessa che non si può ridurre alla sola condizione di privazione di "beni economici", ma che sempre di più si connota come una grave mancanza di "beni relazionali", di certezze per se e per i propri cari, come perdita di fiducia e di autostima, come senso di isolamento e assenza di legami significativi.
Dalla riflessione di questa mattina è emerso in modo chiaro come la dimensione economica è solo una delle variabili in campo e che delineare strategie solo a partire da una valutazione economica dello stato di povertà e di benessere apre la possibilità ad alcune facili derive: 1) pensare che i sussidi economici siano la soluzione ai problemi, mentre in realtà oltre a risultare poco significativi in termini quantitativi (pochi euro a persona) sono anche inefficaci e spesso concausa del permanere nello stato di bisogno; 2) trovare una facile "giustificazione" per non fare, o per fare solo nella misura della disponibilità delle risorse economiche stanziate dal sistema pubblico; 3) vivere nell'illusione o nell'utopica attesa che un giorno, quando tutte le nazioni del mondo manterranno fede alle dichiarazioni dei diritti umani, agli accordi internazionali e ai trattati sottoscritti, allora si che sarà possibile una soluzione (magica) ai problemi.
L'invito che porto a casa da questo convegno è un richiamo ad agire una responsabilità nel quotidiano per riporre al centro dell'azione civile, dei contesti professionali e delle scelte personali una nuova attenzione alle dinamiche relazionali, alla costruzione di "luoghi solidali", alla rivitalizzazione della comunità quale promotore di beni relazionali.
Mara Rossi, al termine del suo intervento, ha proiettato una slide per comunicare (con un'espressone che ho scoperto essere stata cara a don Oreste Benzi) che un'altra via è possibile, che si può iniziare una rivoluzione dal piccolo, dal locale, dal quotidiano, dal gratuito ... dai mondi vitali.
I mondi vitali, quindi, sono prima di tutto luoghi relazionali, occasione di incontro tra persone che nella conoscenza reciproca, nello scambio di esperienze, nella vicinanza sui percorsi di vita diventano agenti per la promozione del benessere e soggetti attivi  per un reale contrasto alla povertà.


PS. Concludo con un dato di presenza al convegno: 
  • circa 100 studenti motivati e attenti;
  • 25/30 operatori sociali 
  • solo 4 amministratori locali (di cui 2 per i saluti).




1 commento:

  1. Anch’io reagisco a caldo.

    È il momento di provare a cambiare le cose con l’accordo di tutti. Si potrebbe cominciare migliorando gli interventi a favore del 4,2% delle famiglie italiane che vivono la povertà più dura, quella definita ‘assoluta’.
    La politica italiana è tradizionalmente disattenta verso i poveri. Lo dice la vita concreta delle persone coinvolte e sono state ormai prodotte intere biblioteche di dati e analisi per dimostrarlo. Oggi ce lo ricorda la crisi economica, che ha trovato queste famiglie prive degli strumenti per proteggersi.
    Ad animare la nostra azione sono lo spirito del cambiamento possibile e il pragmatismo. Non intendiamo né rinunciare a modificare il welfare né proporre una riforma economicamente insostenibile, cerchiamo solo un punto di equilibrio tra i nostri desideri e la sostenibilità di bilancio. Prendiamo il meglio di ciò che c’è, valorizzando i punti di forza e agendo su quelli di debolezza. Diamoci da fare in percorsi di trasformazione graduale, attentamente monitorati e valutati, unica possibilità per radicare i mutamenti nel territorio.

    E allora… iniziamo! E per rompere il ghiaccio, insegniamo ai ragazzi l’importanza dei ‘passi falsi’: incitare i più piccoli a osare, innovare, uscire dal seminato, proporre idee nuove. Perché errare è una parola che nella radice significa deviare dalla solita strada. E non esiste grande scienziato che sia arrivato al successo senza salire su una gigante catasta di conclusioni sbagliate. Dei 180 articoli scientifici pubblicati da Einstein, una quarantina contengono errori significativi. Se abbiamo penicillina e vaccini, lo dobbiamo agli sbagli commessi dai loro scopritori, che andavano in cerca di altro. E quanto è importante, per crescere, non restare paralizzati dalla paura di fare e, allo stesso tempo, imparare ad ammettere i propri errori e i propri limiti?
    E allora lanciamoci in un bel ‘sbagliando s’impara’ anche nelle scuole cremasche.
    Ma anche noi cremaschi, anche se non siamo più bambini e se siamo nella capitale del solido pragmatismo lombardo, proviamo a cambiare angolazione, a osare, a sparigliare! Cosa abbiamo da perdere?!? Alzi la mano chi è totalmente contento della propria vita nella nostra amata città, chi non si sente spaesato, stanco, cinico o disilluso, chi non avrebbe voglia di un miglioramento. Il tempo che viviamo – tempo di “crisi”, di difficoltà ed opportunità, di trasformazione e confusione, di contraddizioni e sfide – ci chiede di non temere a porre domande, a dire la nostra (ascoltando quella degli altri), a trovare nuove strade, da soli come in compagnia, a provare a cambiare in meglio. Secondo me…. SI PUO’ FARE! “Non tutti quelli che errano, si sono persi”

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